Del: 14 Luglio 2015 Di: Elena Buzzo Commenti: 0

Elena Buzzo
@ele_buzzo

Nel 1930 Clyde Tombaugh, astronomo americano, scopre l’esistenza di un nono pianeta nel sistema solare; si tratta di Plutone, il più piccolo e il più lontano. Utilizzando una macchina di sua invenzione osserva e fotografa, in diversi momenti della giornata, una stessa porzione di cielo, sovrappone poi i fotogrammi ottenuti e nota i movimenti del nuovo corpo celeste.

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Nei quarant’anni che seguono la scoperta di Plutone furono impiegati i telescopi più avanzati per l’osservazione della superficie del misterioso pianeta, ma i risultati non sono stati del tutto esaustivi. Si è osservato il suo colore roseo, alcune macchie scure ancora non bene identificate e il periodo di rotazione. Proprio durante lo studio di quest’ultimo, nel 1978 l’astronomo James Christy si accorge che l’orbita di Plutone non è del tutto circolare, scoprendo così la presenza di un satellite, che chiama Caronte, il traghettatore di anime negli Inferi, regno di Plutone.

La coppia, che compie una danza a spirale attorno a un centro di gravità posto tra i due, ha caratteristiche uniche poiché Caronte è il più grande satellite del sistema solare in proporzione con il pianeta a cui è legato — è circa la metà del suo diametro.

L’interesse per la conformazione di Plutone è andato crescendo nella seconda metà del Novecento; la NASA tentò di ridirezionare le due sonde gemelle Voyager 1 e Voyager 2 (lanciate nel 1977 a distanza di un mese l’una dall’altra) verso Plutone. Di fatto l’intento venne abbandonato e la missione proseguì nell’osservazione di Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

L’esplorazione di Plutone si è delineata quindi con gli anni come una grande sfida per gli astronomi, intrigati dall’alone di mistero che avvolge il più piccolo, più lontano e più inesplorato pianeta del sistema solare.
In realtà non è del tutto corretto chiamarlo pianeta in quanto dal 2006 Plutone è stato declassato a “pianeta nano” dall’Unione Astronomica Internazionale, poiché la sua massa non è sufficientemente grande da sgombrare l’area circostante da altri corpi minori del sistema solare. Tra le conseguenze di questa decisione ci sono numerose petizioni contro la discriminazione del corpo celeste, vignette umoristiche sul pianeta bistrattato dalla comunità scientifica e un neologismo a lui dedicato: to pluto/be plutoed, ovvero declassare o svalutare qualcuno o qualcosa, coniato dalla American Dialect Society nel 2006 ed eletto Word of the Year nello stesso anno.

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Ma nonostante il suo status sia cambiato, proprio nel 2006 gli è stata dedicata una delle più entusiasmanti missioni astronomiche: il 19 gennaio la sonda New Horizons è stata lanciata da Cape Canaveral in Florida, alla volta dei confini del sistema solare, per sorvolare Plutone e poi dirigersi verso la fascia di Kuiper. L’obiettivo degli astronomi è quello di ottenere immagini definite per una analisi ad alta risoluzione della conformazione della superficie del pianeta, la sua composizione geologica, la sua atmosfera e creare una mappatura degli eventuali crateri. Inoltre i fotogrammi riportati dalla sonda faranno chiarezza sulla possibile esistenza di altri satelliti di Plutone oltre a quelli già scoperti (Creonte, Idra, Stige, Notte, Cerbero). Da nove anni ormai, percorrendo quasi 5 miliardi di chilometri, la New Horizons invia ad una equipe capitanata dall’astronomo e planetologo Alan Stern, immagini sempre più definite. Ma la attesissima data è proprio oggi, quando, alle 13.50 (ora italiana) la sonda arriverà a soli 12.500 km dal pianeta e attuerà quello che gli astronomi chiamano un “fly-by”, ovvero sorvolerà Plutone senza posarvisi sopra.

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Tutti i dati vengono riportati grazie all’uso combinato di sette strumenti, tra cui la camera LORRI (Long Range Reconaissance Imager) che permette di scattare immagini nitide e allo Student Dust Counter (SDC) che rileva le polveri che si infrangono sulla navicella, riportando informazioni utili allo studio dell’origine e dell’evoluzione del nostro sistema solare.

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Prima del lancio della New Horizons le uniche informazioni chiare sulla conformazione di Plutone erano state riprese dal Telescopio spaziale Hubble, grazie al quale è stata scoperta l’esistenza dei quattro satelliti Notte e Idra nel 2005, Cerbero nel 2011 e Stige ne 2012.

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Da oggi invece, quando i dati raccolti raggiungeranno la Terra, si potrà finalmente avere un quadro generale della composizione del nostro sistema solare. Alla velocità di quasi 50 mila chilometri orari, la sonda fotograferà Plutone dal basso rispetto al suo piano di rotazione, senza entrare nell’orbita. Nel momento in cui la si avvicinerà maggiormente al corpo celeste, non invierà più immagini in tempo reale per utilizzare al massimo i suoi mezzi nel memorizzarle. Dopo ore di suspance, New Horizons manderà un segnale se è sopravvissuta e i primi dati arriveranno quattro ore e mezza dopo nel Laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University a Laurel (Maryland). Poi inizierà un lavoro di download che durerà circa due anni.

Il margine di rischio della missione è molto alto poiché è la prima volta che una sonda viene lanciata così lontano nello spazio e a una tale velocità. Infatti, come spiega Stern, “a questa velocità basterebbe l’impatto con un chicco di riso per rendere inutilizzabile la sonda”.
Tutti con il fiato sospeso nell’attesa di scoprire cosa ci riserva questo piccolo pianeta, sentinella del sistema solare.

Elena Buzzo
Studentessa di Lettere Moderne. Scrivo per non parlare. Mi piace il cinema, la birra, ma non il gelato.

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