
Nel corso della Storia è spesso capitato che qualcuno abbia avuto l’idea per un’invenzione potenzialmente geniale, che però si è rivelata irrealizzabile o inutile in relazione alle conoscenze tecniche o alle esigenze dell’epoca in cui è stata concepita.
Solo col passare del tempo il progresso scientifico e la creatività umana hanno riscoperto macchine, strumenti e idee che erano cadute nel dimenticatoio.
Questa è la storia di dieci antiche invenzioni inutili, fallite o dimenticate che infine sono tornate alla ribalta.
[toggle title=”#1 – Gli specchi ustori”] #1 – Gli specchi ustori [/toggle]
Secondo le testimonianze storiche pervenuteci da Galeno di Pergamo e Cassio Dione Cocceiano, la flotta del comandante romano Marco Claudio Marcello, che nel 212 a.C. assediò la polis greca Syrakousai (l’odierna Siracusa), fu parzialmente incendiata e distrutta da una diabolica arma sviluppata dal celebre Archimede, l’inventore e matematico nativo della città.
La vicenda è piuttosto nota e probabilmente avete già intuito di cosa si tratta: stiamo parlando dei famosi specchi ustori o di Archimede, specchi di forma parabolica che se orientati in modo opportuno hanno la proprietà di riflettere tutta la radiazione ricevuta in un solo punto esterno, detto “fuoco”.
La storia narra di come questi strumenti abbiano avuto un ruolo decisivo nel difendere la città greca, tuttavia è piuttosto improbabile che siano stati gli specchi di Archimede ad incendiare le navi romane, per diverse ragioni.
In primis, non si può essere sicuri che gli specchi curvi siano stati inventati da Archimede, in quanto le fonti sopra citate sono postume al periodo dell’assedio.
Inoltre, l’episodio potrebbe essere stato un po’ romanzato per destare l’interesse dei lettori su un’invenzione che probabilmente appartiene ad un’epoca prossima a quella dei narratori.
Tant’è vero che gli storici contemporanei all’assedio, Polibio, Livio e Plutarco, raccontano la vicenda senza mai accennare agli specchi.
Secondariamente, la situazione è stata sperimentalmente simulata più volte, cercando sempre di ricostruire navi e specchi secondo le tecniche e i materiali dell’epoca, ma i risultati sono stati per lo più deludenti.
Uno dei fallimenti più eclatanti è avvenuto nel 2010 quando, per espressa richiesta del presidente Obama, lo staff della trasmissione televisiva Mythbusters ha posizionato 500 specchi ustori nel tentativo dar fuoco alla riproduzione di una nave romana posta ad una distanza di 120 metri, ma il tutto si è risolto col misero innalzamento di un centinaio di gradi della temperatura della stoffa delle vele.
Inoltre, l’orientamento istante per istante di una moltitudine di specchi su dei bersagli mobili, per un periodo di tempo tale da provocarne la combustione, richiede un sistema di controllo davvero complesso, difficilmente realizzabile per la conoscenza e per la tecnica dell’epoca.
È stato perciò teorizzato che il potenziale bellico degli specchi eventualmente impiegati dai Siracusani non fosse quello di incendiare le barche nemiche, ma piuttosto di provocare un disorientante e fastidiosissimo calore tra gli uomini a bordo, al fine di ostacolarne le operazioni navali.
Ma adesso, nel XXI secolo, di questi specchi curvi, cosa ce ne facciamo?
L’idea di concentrare la radiazione solare in un solo punto è stata recentemente ripresa per la realizzazione delle cosiddette centrali elettriche solari termodinamiche (o solari a concentrazione), la prima delle quali ha visto la luce nel 1981, nel deserto della California.
In questi impianti, generalmente installati in zone particolarmente calde e soleggiate, gli specchi parabolici sono disposti in fila sul terreno e nel corrispettivo punto di fuoco è posizionato un lungo circuito di tubazioni contenente uno speciale fluido termovettore.
Il funzionamento all’incirca è il seguente: una pompa idraulica fa circolare nelle tubazioni il fluido che, attraversando costantemente la zona in cui è concentrata la radiazione solare, si scalda fino a raggiungere temperature altissime (circa 600°C) e alla fine del percorso viene raccolto in un serbatoio isolato termicamente, dove può rimanere per molto tempo senza raffreddarsi.
Quando il gestore lo ritiene opportuno, il fluido accumulato in questo serbatoio può essere inviato nelle serpentine arrotolate attorno alle condotte di un altro circuito, riservato esclusivamente alla circolazione dell’acqua.
Al passaggio del fluido nelle serpentine, l’acqua assorbe il calore e si trasforma in vapore che viene canalizzato nelle turbine e utilizzato per generare l’energia elettrica, mentre il fluido raffreddato viene rimandato all’area degli specchi dove ricomincia il suo ciclo.
A differenza di una centrale fotovoltaica, il cui funzionamento è possibile solo in presenza di sole, una centrale a concentrazione può produrre energia anche in periodi in cui l’illuminazione sia scarsa o assente, poiché il calore accumulato precedentemente dal fluido può essere conservato nel serbatoio appositamente isolato.
L’impianto raggiunge il massimo della sua efficienza quando accoppiato con una più ordinaria centrale a ciclo combinato (alimentata da combustibili fossili), in modo che anche in caso di lunghi periodi di assenza di sole (ad esempio l’inverno) la produzione di elettricità sia comunque assicurata.
Oggi il solare termodinamico è una promettente forma di energia rinnovabile oggetto di ricerca e investimenti in tutto il mondo, una centrale di questo tipo è stata costruita anche in Italia, proprio nei pressi di Siracusa, nel piccolo paese di Priolo-Gargallo, e non è certo una coincidenza che porti il nome del suo antico e inconsapevole ispiratore, Archimede.