Del: 18 Settembre 2015 Di: Redazione Commenti: 1

Carlotta Fiammenghi
@Carlotta_Fmm

Un sondaggio Ipsos Mori, condotto in 14 Paesi, ha assegnato all’Italia il primato di “Paese più ignorante”.
Il sondaggio – chiamato appunto Index of Ignorance  ha dimostrato che la popolazione italiana non sa definire la percentuale della popolazione musulmana, di immigrati, di minorenni che nell’ultimo anno hanno messo al mondo un figlio; si sbagliano quando viene chiesto loro di quantificare la disoccupazione e persino la popolazione sopra i 65 anni. E non di poco: siamo convinti che i musulmani costituiscano il 20% della popolazione, quando in realtà sono il 4%, e che gli immigrati siano il 30% anziché il 7%.

Pensiamo che il 49% della popolazione italiana sia disoccupata e che il 48% degli italiani abbia più di 65 anni, quando le percentuali reali sono 12 e 21%.

Poco meglio di noi gli Stati Uniti, dove si pensa che una teenager su quattro abbia già avuto un figlio, mentre la cifra reale si attesta attorno al 3%. Fra gli altri Paesi intervistati: i francesi pensano che solo il 58% della loro popolazione abbia partecipato alle ultime elezioni, mentre le statistiche asseriscono che un buon 80% si è recato alle urne; e anche in Gran Bretagna si sovrastima grandemente il numero della popolazione immigrata e di fede musulmana residente sul suolo britannico. I meglio informati sembrerebbero essere i tedeschi e gli svedesi – e tuttavia anche fra di loro non mancano gravi lacune.

Le cause di questa ignoranza diffusa possono essere molteplici. Si sarebbe tentati di pensare in primo luogo ai media, perché se il problema è la mancanza di informazione tra la popolazione, la causa non possono che essere i mezzi incaricati di provvedere all’informazione stessa. Media, quindi, che non informano o informano male. Tuttavia, vista la diffusione e la dimensione globale del problema, non si può pensare di addossare la colpa a un solo giornale o ad un solo tipo di pubblicazione: se i media sono una causa, si tratta di un problema di scala molto maggiore.
I social media possono avere avuto un ruolo: si tratta, infatti, di piattaforme in cui spesso un’informazione passa e si diffonde sottoforma di post preconfezionato, costruito su slogan, che non spinge all’approfondimento né alla documentazione. Ma anche questa spiegazione non basta.

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La psicologia può offrire un ulteriore chiarimento: si è ipotizzato, infatti, che spesso le persone preferiscano le “scorciatoie”, anche di pensiero, e che in questo caso i pregiudizi offrano un ottimo appiglio per avere sempre a disposizione verità fresche, pulite, ordinate. E sembrerebbe che persino quando ci informiamo, spesso non lo facciamo per avere delle risposte alle nostre domande, ma per avere delle conferme delle nostre convinzioni o delle nostre paure.

 

In questo processo giocherebbe un ruolo anche la politica: un tipo di politica che spesso non tenta di correggere i dati sbagliati, che spesso non risponde alle nostre domande, ma che cavalca le nostre paure e conferma ciò che già noi pensavamo — da prima, dai media, dai social, da quello che abbiamo visto uscendo di casa. È stato obiettato infatti che, se un cittadino italiano vive in un quartiere per lo più popolato da stranieri, sarà tentato di rispondere alla domanda “quanti immigrati / musulmani ci sono in Italia” con una percentuale molto alta. Similmente, se è appena stato derubato o se il suo vicino ha appena subito un’aggressione sarà tentato di rispondere che l’indice della criminalità è in aumento. È stato inoltre suggerito che spesso il cittadino non è invogliato ad informarsi perché non pensa di poter dare un contributo effettivo alla politica del suo Paese, pensa che il suo giudizio non verrebbe comunque ascoltato. Il problema, dunque, si approfondisce nel momento in cui quello stesso cittadino perde la fiducia nella classe politica che lo guida; e si chiude a cerchio se si pensa che quella classe politica è proprio il risultato di una coscienza sociale e di un dibattito pubblico che è diretta espressione di questa ignoranza. È facile che un programma politico venga votato se rispecchia i sentimenti generali della popolazione; se propone soluzioni ai problemi sentiti come gravi e maggiori – anche se non lo sono; se appare come un’ancora di salvezza per le nostre paure – spesso infondate o addirittura sbagliate.

L’ideale sarebbe raggiungere un equilibrio e creare un elettorato più consapevole insieme ad una classe politica meno avida di consensi incondizionati e più pronta a condividere i dati reali. L’obiettivo minimo, invece, sarebbe cercare di risalire la classifica e cercare di essere un po’ meno “ignoranti”.

 

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