Del: 7 Settembre 2015 Di: Redazione Commenti: 0

Fabio Ceravolo

No one lives in the slums because they want to. It’s like this train. It can only go where the tracks take it.
Cloud Strife, il mio eroe

Questa è la verità, o Ateniesi: ovunque un uomo si sia posto, giudicando questo il suo meglio […] ivi egli deve restare, qualunque sia il pericolo da affrontare, non tenendo in alcun conto né la morte né altro in confronto della vergogna.
Socrate, l’altro mio eroe

Ho visto abbastanza filosofi per essermi fatto idee interessanti sulla loro condotta. Essendo poi il mio cervello fuggito per tornare forse mai più, ho avuto modo di mettere a confronto le mie impressioni con molte realtà diverse. Quella del ricercatore è un’esperienza stordente. Ci si occupa di un numero sempre più elevato di domande e problemi e, sia chiaro, nessuno di essi ha davvero una risposta soddisfacente.

Eppure, si tira avanti. Perché? Di tutte le domande questa è quella che meno mi fa dormire sonni tranquilli.

Per il mio modo di vedere le cose la risposta è la stessa che potreste sentirvi dare da altri filosofi: è colpa della meraviglia. Quando ci meravigliamo siamo scossi e, abbandonando vecchie idee, ci diamo gran fatica di trovarne di più soddisfacenti. Tuttavia, ho imparato ad abbracciare la meraviglia prima di conoscere Aristotele. A farmela incontrare, all’età innocente di otto anni, è stato lo sceneggiatore di Final Fantasy VII, uno spirito giapponese di nome Sakaguchi Hironobu.

Final Fantasy VII non è stato il mio Final Fantasy. Per fortuna o sfortuna che fosse, tra 1998 e il 2001 avevo l’abitudine di giocare svariati titoli meravigliosi a pochi mesi dal rilascio, perché me li prestava miocuggino, eroe videoludico da annoverarsi fra i saggi più grandi per avermi insegnato che Luigi, così come il giocatore blu, sono altrettanto forti e valorosi di Mario e del giocatore rosso. Così FFVII finì nelle mie mani quando ero ancora troppo giovane. Seppi apprezzare molto di più l’ottavo capitolo, tradotto in italiano, provvisto di una trama struggente ma molto più digeribile e, se possibile, ancor più pieno delle animazioni flesciose e dei vestiti bizzarri che rendevano felici i figli di quei tempi.

Ho dovuto studiare più accuratamente per non avere più dubbi: il settimo Final Fantasy non ha rivali all’interno dell’ottava arte. Ma non intendo difendere troppo a lungo quanto appena detto. Mi “limiterò” ad evidenziare le caratteristiche che influiscono sul mio atteggiamento, sul mio modo di vivere e studiare la filosofia e su quello che ho riscontrato in molti filosofi che conoscono il gioco e ancora oggi lo amano.

Il cast giocabile di Final Fantasy VII come appariva sulla locandina al lancio europeo nel novembre 1997. Da sinistra a destra: Cait Sith, Aerith Gainsborough, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi, Red XIII, Cloud Strife, Cid Highwind, Tifa Lockheart e Barrett Wallace. La questione della traslitterazione ‘Aerith’ (che appare nella versione europea) o ‘Aeris’ (che appare in quella americana e in Kingdom Hearts) dal giapponese ‘エ ア リ ス ‘ (earisu) tenne in scacco gli interpreti per lungo tempo prima che la (rifondata) casa produttrice risolvesse la vexata quaestio in favore di ‘Aerith’ nel lungometraggio Final Fantasy VII: Advent Children (2005). (Copyright: Square Enix©)

Come prima cosa, Final Fantasy VII non è stato mai tradotto (i francesi lo hanno tradotto, ma quelli traducono tutto, si sa. Non mi soffermo sul brivido corso lungo la mia schiena quando il mio amico Pierre mi disse che per lui Aerith era Aerìs). E se ora finalmente l’inglese ha trovato diffusione nello Stivale, allora era quasi sconosciuto. Ragion per cui FF7 fu un abisso di incomprensioni. Nel primo CD c’è un segmento di trama che può essere risolto recandosi a parlare con gli abitanti di una città in un determinato ordine. Questi fornivano di volta in volta le informazioni necessarie per trovare il successivo. Ma noi dovevamo procedere a tastoni, per prova ed errore. Ho un caro amico che si chiama Matteo. Se gli metteste un controller in mano e gli chiedeste di orientarsi in quel luogo, potreste osservare un caso più unico che raro di strategia evolutiva in ambiente ignoto: i dialoghi non li guarda più nemmeno. Quindi: risolutezza e carattere.

Mai arrendersi di fronte alla frustrazione, soprattutto se dopo enorme fatica vi fanno travestire da donna e vi lasciano in balia di Don Corneo, un gangster marpione di basso rango il quale, accortosi della stranezza, vi getta a sua volta all’interno di una botola per darvi in pasto ad una specie di lumaca gigante.

Secondo, e più importante, ho iniziato a pensare che più la fantasia è potente, più essa è capace di ammorbidire le nostre pretese sulla realtà. “Ok, Fabio è pazzo”. Eppure sentiamo che dice il vecchio barba (Platone) a riguardo. Prima fa dire a Socrate – come tutti sapete – di saper di non sapere, e poi aggiunge:

Né ho smesso di ricercare, perché ancora oggi seguendo il comando del dio interrogo chiunque mi sembri sapiente, sia esso cittadino o meteco. E quando mi accorgo che costui non è affatto sapiente, allora dimostro la sua ignoranza per dimostrare che il dio ha ragione. E a questa occupazione dedico tutto il mio tempo, così che non ne ho più a disposizione per attendere ai miei compiti o a quelli cittadini, ed essendo devoto a servire solo il dio, ho scelto di vivere in povertà.

Questa è l’Apologia di Socrate. Avevo già (quasi) deciso di studiare filosofia quando la tradussi all’esame di maturità. Allora ebbi anche la possibilità di scrivere un commento, ma mi sono trattenuto (a malincuore) dal menzionare Final Fantasy VII così da assicurarmi un alto punteggio e compiacere l’autorità, contrariamente a quanto Final Fantasy VII e l’Apologia di Socrate insegnano. Ma se non vi basta Platone ci sono anche i Pensieri di Leopardi (LXIV):

Quell’artefice o scienziato o cultore di qualunque disciplina, che sarà usato paragonarsi, non con altri cultori di essa, ma con essa medesima, più che sarà eccellente, più basso concetto avrà di se: perché meglio conoscendo le profondità di quella, più inferiore si troverà nel paragone. Così quasi tutti gli uomini grandi sono modesti: perché si paragonano continuamente, non cogli altri, ma con quell’idea del perfetto che hanno dinanzi allo spirito, infinitamente più chiara e maggiore di quella che ha il volgo; e considerano quanto sieno lontani dal conseguirla. Dove che i volgari facilmente, e forse alle volte con verità, si credono avere, non solo conseguita, ma superata quell’idea di perfezione che cape negli animi loro.

Per comprendere come la modestia mi spinga alla ricerca filosofica, dobbiamo domandarci perché una fantasia è finale. È certo che l’aggettivo sia stato scelto da Sakaguchi nel 1989 come rimando al fallimento che di lì a poco avrebbe colpito la casa produttrice per cui lavorava. Final Fantasy sarebbe stato l’ultimo videogioco della Squaresoft. Che meravigliosa coincidenza, però, che esso abbia anche un significato molto più appropriato.

La fantasia è finale perché è definitiva, perché non necessita di un completamento. Chi vive in una fantasia finale, molto spesso non richiede alla realtà di sopperire ad essa.

Modestia filosofica. Una poké ball, così come un’avventura narrata da Sakaguchi Hironobu, non costa niente né ci spinge a soddisfare passioni turbolente, come l’anarchia o le auto sportive. Caso più difficile è la ricerca della pace, ma, per favore, considerate il contenuto di questa immagine in senso metaforico. Le vostre mamme avrebbero dovuto sapere che non tutti i videogiochi sono fatti per nuocere e che vi danno molto di quello che potete desiderare, ad un costo minimo. 

Mi è chiaro che l’argomento può condurre in luoghi pericolosi. “Coraggio, non vorrai mica dire che dobbiamo lasciare che la fantasia obliteri i nostri desideri?”. E, in effetti, l’orizzonte inquietante delle fantasie finali è che da esse deriva non solo modestia, ma anche rinuncia. E se la prima è pedagogica, una preparazione ad evitare sofferenze e sfortune nel mondo in cui già viviamo, la seconda è apparentemente deleteria: una scelta di “passare” ad un altro mondo (sempre che sia un altro mondo a tutti gli effetti – cosa che nessuno ha dimostrato). Con la prima continuiamo a prenderci il nostro aperitivo il venerdì sera (anche se discutiamo di come abbiamo equipaggiato Cloud o dichiariamo il nostro amore per Aerith1 ), continuiamo a dedicarci alla carriera e alla famiglia, ma non desideriamo mai il futile. Con la seconda iniziamo e finiamo dentro Final Fantasy.

Io confesso di non sapere se vi sia un limite chiaro fra modestia e rinuncia, né di sapere se la seconda sia davvero deprecabile. Vi propongo un caso un po’ provocatorio, poi smetto di premere l’acceleratore su questo tema. Z. è malata terminale di AIDS. Non può soddisfare alcun desiderio né è capace delle azioni più elementari. Vive a stento perché connessa ad una macchina su un letto d’ospedale ed è noto ai medici che il tempo rimastole è molto poco. La macchina annulla tutte le sue percezioni e la immerge in un massive multiplayer role-playing game da cui esse sono rimpiazzate una a una, con precisione assoluta. Il letto dell’ospedale naturalmente non è scomodo. Nel gioco, Z. può parlare con la madre e conoscere nuovi amici. Ma può soprattutto vivere avventure di straordinaria bellezza, che circostanze più consuete non le riserverebbero altrimenti. Questa storia è anche il finale, tra i più toccanti che abbia mai visto, di un cartone animato su cui mi piacerebbe scrivere un altro articolo.

Ora attenzione: non vi chiedo se sia giusto connettere la mente di una ragazza in fin di vita ad un mondo virtuale. Ciò dimostrerebbe solo che il virtuale può avere effetti palliativi in situazioni in cui azioni e desideri sono soppressi. Vi chiedo se farebbe davvero differenza connetterla in circostanze del tutto ordinarie. Per me, la risposta non è ovvia. Il mare di opportunità che nasce dal virtuale non sembra essere solo un palliativo che diamo a chi è più in difficoltà, ma qualcosa che ciascuno di noi merita, come fu per molti il “sogno americano” o come è ancora per molti il paradiso. Ma mi fermo qui: forse le più grandi avventure possiamo anche cercarcele in questo mondo di fango ed è giusto che sia così.

La terza cosa che Final Fantasy VII insegna a noi filosofi, oltre alla moderazione e alla tenacia, è la ricerca di imprese grandissime e insperate.

La storia di Cloud è la storia di un eroe e se qualcuno mi domandasse: “Fair enough, but what’s this final fantasy all about?”, come il mio relatore una volta, non potrei che rispondere che si tratta, alla fine dei conti, “solo” di salvare il mondo. Fare tanto, o quasi tutto, con poco, quasi niente – è questo il motto dei filosofi e di chi ha giocato a Final Fantasy VII. Nel momento in cui Cloud incontra Aerith per la prima volta, la ragazza coltiva fiori in una piccola chiesa nei bassifondi. Se mi capita di ascoltare il tema musicale che accompagna quella scena, ancora oggi, mi salgono i brividi fino alla nuca e cedo ben volentieri alla commozione. Probabilmente ciò avviene perché nella metafora di un fiore che sboccia nei bassifondi c’è tutta la comunanza fra Final Fantasy VII e la mia formazione.

Per concludere, diventare un filosofo è un arduo destino – una tappa alpina al Tour. Richiede moderazione, perché se è vero che non si può filosofare a pancia vuota, quand’anche
si filosofasse, la pancia piena certo non diventa. Ma per fortuna Final Fantasy VII ci ha donato la modestia e se per esempio qualcuno dovesse farvi presente che con la vostra laurea in filosofia non ci pagate il “giro di piacere” a Bangkok, a costui potreste rispondere che si possono amare, ma amare davvero, anche le ragazze di Brugherio2.

Diventare un filosofo richiede ardimento sia nell’affrontare le incertezze dell’accademia, che ci forza a destreggiarci fra i tentacoli di un’istutizione ingiusta e spietata come la ShinRa; sia nella frustrazione della ricerca, che a volte ci impone più ostacoli di un boss finale affrontato al livello 15.
Un appello per concludere. Se siete là fuori, fatevi sentire. Se avete obiezioni su questo stucchevole Sturm und Drang che accomuna filosofi e giocatori di FFVII, scrivetemi. Se poi pensate più in generale che l’ottava arte possa essere impiegata per accrescere la nostra formazione e renderci migliori, scrivetemi. Ditemi cosa avete in mente. Per giocare un po’ c’è sempre tempo in questo mare infinito di impegni.

  1. Sia chiaro che nessun riferimento personale è sotteso a quest’ultima affermazione. []
  2. Anche qui, nessun riferimento personale []
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