Nel corso della sua vita Toni Rüttimann, che oggi ha 48 anni, ha costruito in tutto il mondo 711 ponti. Sono ponti fatti con materiale riciclato e grazie all’aiuto delle comunità locali, e per il suo lavoro Toni non vuole nessuna ricompensa.
All’età di 19 anni, nel 1987, Toni vide in televisione le immagini dei disastri provocati da un terremoto in Ecuador e decise di cambiare vita. Diede la maturità, raccolse i soldi che gli servivano e partì per portare il suo aiuto nei luoghi colpiti. Fu in Ecuador che costruì il suo primo ponte, e da allora non si è mai fermato, fatta eccezione per i due anni che ha dovuto passare steso in un letto, paralizzato dalla sindrome di Guillain-Barrè.
Perché proprio ponti? Perché ha deciso di costruire ponti e qualcos’altro?
Nella zona terremotata ai piedi delle Ande, in Ecuador, quando avevo 19 anni, sono stato profondamente colpito dalla sofferenza e dalla disperazione che regnavano sulle rive del fiume Aguarico, dove l’unico ponte esistente era stato distrutto e aveva lasciato migliaia di persone isolate. Se vivi questa esperienza anche una volta soltanto, poi sai cosa vuol dire.
Un ponte sospeso si può costruire con quel che avanza di cavi usati per i pozzi petroliferi e di tubi. L’impalcato del ponte è stato fatto con il legno procurato dagli abitanti del luogo, che contribuiscono anche con sabbia, pietra e lavoro manuale. Questo per dire che i primi anni quasi non ci servivano soldi per costruire un ponte.
Crossing of main cable in Myanmar
Perché un ponte può essere così importante per certe comunità?
Un ponte non è importante solo per “certe comunità”, ma noi non ci pensiamo nella vita di tutti i giorni. Prova a fare questo esperimento: prova davvero, per una settimana, a non attraversare nessun ponte quando vai in giro. Intendo qualsiasi tipo di ponte, per le macchine, per i treni, per i trasporti pubblici, per i pedoni eccetera. Dubito che sia possibile riuscirci anche solo per un giorno.
Come l’ha aiutata la Svizzera, il suo paese natio, a scegliere la vita che fa?
La mia vita l’ho scelta da solo. Ma l’educazione che ho ricevuto in Svizzera mi ha aiutato molto, con una buona casa e un’istruzione liceale solida, dove mi hanno insegnato 4 lingue, ho fatto molto sport e ho passato molto tempo a contatto con la natura. Inoltre sciando, come eravamo soliti fare noi ragazzi di montagna, ho imparato fin da piccolo che si ha la libertà di sfrecciare giù dalle piste, ma che una piccola disattenzione può portarti del dolore, nel migliore dei casi, o in ospedale o persino alla morte. Scelgo le mie azioni e ne sono responsabile.
Pensi che la stia ancora aiutando e le stia ancora dando il suo supporto?
Da dieci anni i nostri cavi li riceviamo, usati e nuovi, da funivie in tutta la Svizzera. Abbiamo ricevuto, ad oggi, quasi 500 km, 1000 tonnellate, di cavi. Inoltre molte famiglie donano soldi che ci sono utili per ciò che non possiamo procurarci gratuitamente. A volte ci sono persone che, in occasione di matrimoni e funerali, chiedono ai loro ospiti di mandarci delle donazioni invece di comprare fiori.
In più c’è l’enorme vantaggio di avere un passaporto svizzero, con il quale in molti Paesi posso stare fino a un mese senza aver bisogno di un visto. Anche se è palesemente ingiusto, essendo io un costruttore di ponti senza fissa dimora, e migrante, non posso permettermi di sottovalutare questo dettaglio.
Tenaris pipe arriving at our welding yard in Indonesia
Un uomo può fare molte cose da solo, ma per fare grandi cose c’è sempre bisogno d’aiuto. Chi pensa la abbia aiutato di più nella sua vita, e come?
Centinaia di persone, probabilmente migliaia, mi hanno aiutato moltissimo, e non solo materialmente. Avevo bisogno di molto aiuto e l’ho ricevuto da gente che vive in villaggi e gente che vive in grandi città, gente che lavora in aziende e gente che lavora nei governi, gente di tre diversi continenti.
Per quanto riguarda i materiali è Paolo Rocca, con la Tenaris, che mi ha aiutato decisamente di più, donando, a oggi, 2100 tonnellate di tubi e lastre d’acciaio e occupandosi del loro trasporto nel mondo. Se li si mette a confronto con le 105.000 tonnellate di sabbia, pietra, legna e acqua fornite dalle popolazioni locali, non sembra tanto quanto effettivamente è. Sto parlando di quasi 100 container, una quantità fondamentale. Senza i tubi, le lastre e i cavi d’acciaio svizzeri il nostro sforzo non servirebbe a molto.
Ci sono altre persone che mi hanno aiutato molto, ma preferiscono non essere nominate, il che dimostra la loro grandezza.
Come decide chi aiutare?
Secondo quattro parametri:
- Ci sono abbastanza famiglie per costruire il ponte? A seconda del luogo e paese, bisogna che si siano almeno 300 famiglie.
- Vogliono davvero impegnarsi in un tale sforzo? Nel senso che devono fornire sabbia, pietra, cemento, lavoro manuale e il trasporto di ciò che serve a costruire il ponte.
- È nelle nostre capacità dal punto di vista tecnico? Possiamo costruire un ponte lungo dai 50 ai 100 metri, a seconda della topografia, della corrente del fiume e del suo comportamento.
- È possibile raggiungere il luogo con i materiali? Si tratta di un problema che, a causa della geografia, può essere impossibile da risolvere.
Accetta sempre di costruire un ponte se qualcuno te lo chiede?
No.
Nel 2002 lei è stato paralizzato dalla sindrome di Guillain-Barrè e ha dovuto passare due anni della sua vita steso in un letto. I dottori le dissero che, probabilmente, avrebbe dovuto cambiare stile di vita e lavoro. Cosa pensò allora?
Sapevo fin dall’inizio che si trattava di qualcosa di serio. Pensai che sarebbe stato come la storia vera raccontata nel film L’Olio di Lorenzo, ma fortunatamente si trattava soltanto della sindrome di Guillain-Barré. E fortunatamente a quel punto facevo il costruttore di ponti già da 15 anni, ero allenato a superare gli ostacoli.
Ho dovuto passare diversi mesi a letto prima che i nervi ricominciassero a crescere e potessi iniziare a ri-allenare i miei muscoli. È stato un processo di 2 anni in totale, duranti i quali mi sono allenato per 8 ore al giorno.
Tenaris pipes and plates at border checkpoint ot Laos
Che lavoro avrebbe fatto, se i medici avessero avuto ragione?
Lo stesso lavoro di prima: il costruttore di ponti. Mentre ero malato, ho iniziato a pensare a come avrei potuto continuare a farlo e ho creato un software a controllo remoto per la costruzione di ponti. Il software mi permetteva di progettare qualsiasi ponte in 15 minuti e con pochi click, e così avrei potuto aiutare i miei colleghi, Walter Yànez in Sudamerica e Yin Sopul in Cambogia, a costruire ponti anche se non fossi più stato in grado di camminare.
Cosa ci dice del suo futuro?
Il mio futuro è strettamente collegato al futuro dell’umanità. Io cerco di fare la mia parte.
Ci racconti di alcuni dei posti in cui è stato. Quale è il suo posto preferito dove lavorare, e perché? E qual è una della sue peggiori esperienze, e perché?
Anche se è sempre stato molto difficile a causa delle distanze, del clima e della topografia, mi piace in particolar modo lavorare in Myanmar. La maggior parte delle persone, lì, sono buddiste e capiscono istintivamente perché due signori a caso, come me e il mio collega birmano Aiklian, si presentino improvvisamente per aiutare a costruire un ponte tanto a lungo desiderato. In altri posti è più difficile per le persone credere a questo tipo di amore.
La prima volta che ha lasciato la sua casa e è andato in Ecuador, aveva solo 19 anni. Molti giovani vorrebbero intraprendere percorsi simili al suo. Ha qualche consiglio per loro?
Non sono sicuro di essere la persona giusta per dar consigli, perché il mio percorso è stato piuttosto radicale. Il che, il più delle volte, è direttamente proporzionale con il suo effetto.
Queste sono alcune cose specifiche che ho fatto:
- Non avere nessuna pretesa personale, né limiti di tempo.
- Trovare persone che hanno bisogno di aiuto, nel luogo in cui ci si trova o anche da altre parti.
- Essere sensibili, ma non ingenui.
- Imparare la lingua e quel che è necessario per essere in grado di collaborare con le persone del luogo.
- Trovare un collega fidato e camminare con lui, in non più di due.
- Lavorare con le persone, e rispettarle.
- Trovare materiali che non servono a nessun altro e essere riconoscente.
In generale:
- Pensare per se stessi, e non prestare attenzione ai tentativi esterni di marketing o a qualsiasi altra forma di controllo mentale.
- Studiare con attenzione quel che succede nel mondo.
- Mettere l’amore in azione.
- Credere in se stessi e nella gentilezza della maggior parte delle persone.
Rano, Sulawesi, Indonesia
Mi sembra che, nella vita, si sia trasportati come se si fosse in una corrente incessante e turbolenta, come in uno di quei fiumi torbidi e potenti. Ovviamente è molto difficile alzarsi e andare contro la corrente di un tale fiume. Il fiume sarà sempre più forte, e si viene portarti verso valle, anche se gli si urla contro.
Tuttavia, per me che sono un costruttore di ponti, è una questione di libertà, bellezza e riduzione della sofferenza. Non mi faccio trasportare dal fiume, ma nemmeno gli vado contro. Cerco, piuttosto, di toccarlo con prudenza, e solo quando è necessario. Cerco semplicemente di costruire un ponte che lo attraversi e che sia il più alto e sicuro possibile. Tutto questo lo faccio con gli altri e per gli altri, gratuitamente.
Lassù, in quella dimensione addizionale sopra la terra piana, le menti e i cuori si elevano. In Myanmar ho sentito bambini gridare: “Guardate, cammino sopra l’acqua!”.
Quindi, se proprio, il mio consiglio sarebbe: eleva te stesso, aiutando gli altri.
È interessato ad avere persone che la seguano e imparino da lei?
Ho un interesse per l’umanità. C’è bisogno di molto di più di qualche ponte. Seguirmi fisicamente non solo non è utile, ma è limitante.
La nostra storia dimostra che tutti gli sforzi umani hanno un valore, e che è possibile e bello vivere in questo modo. Coloro che sentono questa possibilità e questa bellezza troveranno il loro percorso e il loro ponte da costruire.
Nella foto copertina: Toni con il suo collega birmano Aiklian in Myanmar