
Risale a venerdì scorso la scoperta da parte delle autorità messicane dell’ennesima galleria sotterranea utilizzata dai narcotrafficanti per trasportare droga e persone al di là del confine americano.
11 metri di profondità per 800 di lunghezza, travi metalliche di sostegno, ventole e anche un sistema di illuminazione: sarebbero queste le caratteristiche del lungo tunnel che forniva un collegamento diretto tra le città di Tijuana e San Diego . Secondo le prime indiscrezioni, la paternità dell’imponente costruzione è questa volta da attribuire al famoso cartello di Sinaloa, il clan di narcos capeggiato da Joaquin «El Chapo» Guzman, evaso a luglio da un carcere di massima sicurezza proprio attraverso un passaggio sotterraneo lungo ben un chilometro e mezzo.
La passione messicana per i corridoi sotterranei non è affatto una cosa recente. La nascita del primo narcotunnel risale al 1989, ma da allora sono più di 180 le gallerie costruite sotto la guida dei cartelli. Si va dalle più rudimentali, piccole e scavate con l’ausilio di semplici attrezzi come pale o secchi, fino alle più costose e sofisticate, talvolta provviste anche di rotaie e progettate da veri ingegneri. In questi casi i costi sono relativamente bassi e variano dai due ai tre milioni di dollari per tunnel, una cifra irrisoria se confrontata al guadagno medio che permette di ricavare un escamotage del genere. Si tratta infatti di un sistema particolarmente vantaggioso poiché tutti i traffici avvengono al riparo dalla luce del sole e soprattutto in uno spazio che permette una buona mobilità.
All’interno dei narcotunnel, lontano da sguardi indiscreti, si muovono tonnellate di stupefacenti e grossi carichi di armi che giungono sempre a destinazione, senza possibilità di deviazioni o intoppi: una sicurezza che ben pochi metodi offrono.
Tuttavia i cartelli messicani non si sono sempre fatti carico della distribuzione in terra americana dei loro prodotti. Prima era consuetudine concludere gli affari in Messico, con grandi trafficanti americani che si occupavano poi personalmente del trasporto della merce e della sua diffusione nelle città a stelle e strisce. Col tempo però le organizzazioni criminali messicane sono riuscite a perfezionarsi sempre di più, al punto da essere in grado di esercitare un controllo diretto sui traffici statunitensi. Col taglio degli intermediari si sono alzati i profitti, ma anche la presenza di uomini di fiducia in territorio americano: un elemento che permette una gestione più attenta e sicura del traffico illegale di stupefacenti.
Ma come trasportare le massicce quantità di sostanze attraverso la frontiera? Se prima se ne occupavano le terze parti coinvolte, con il taglio di quest’ultime il problema è passato direttamente nelle mani dei cartelli.
I tunnel sono forse il più affidabile, ma di certo non l’unico sistema made in Messico per fronteggiare la barriera di 3140 chilometri che corre lungo il confine tra le due nazioni.
Escludendo aerei e navi dalla lista, particolarmente utilizzati sono i sottomarini, che da soli coprono il 30% del traffico di droga che passa per vie marittime. Nonostante la maggior parte di essi venga costruita direttamente dai narcos utilizzando solo legno e fibra di vetro, sono pochi quelli che la polizia federale messicana riesce a ritracciare. Il più grande finora trovato misurava 30 metri in lunghezza e poteva trasportare circa 200 tonnellate di carico.
Negli ultimi tempi hanno fatto la loro comparsa come “muli” anche veri e propri droni in grado di evitare la localizzazione da parte di radar e simili. Veloci, economici, sicuri. Il rovescio della medaglia sta nella loro dimensione, spesso troppo piccola per trasportare grandi quantità di droga.
Non tutte le idee partorite dalle menti dei narcos messicani sono però così buone. Se droni e sottomarini si guadagnano di diritto un posto tra i migliori metodi non convenzionali, lo stesso non si può dire di altri stratagemmi brevettati dai signori della droga ispanici.
Per superare il muro di Tijuana sono stati riportati in auge anche strumenti antichi quali catapulte e cannoni. Grazie ad una gettata di circa 400 metri questi tipi di macchine sono riuscite spesso ad oltrepassare la barriera senza troppo sforzo, semplicemente superandola in altezza.
Ci sono stati anche tentativi che comprendevano l’uso di rampe per permettere ad automobili cariche di stupefacenti di oltrepassare la recinzione. Sfortunatamente, il più delle volte, la corsa finiva proprio appena arrivati in cima, in quanto le auto rimanevano spesso incastrate da sole nell’ostacolo.
Il discorso cambia quando si parla di piccoli quantitativi di sostanze, perché in questi casi a diventare fondamentali sono fantasia e creatività. Verdure ripiene di eroina, grossi pacchetti di erba dipinti in modo da sembrare angurie vere e proprie, cocaina nascosta dentro contenitori in fibra di vetro pitturati di nero per assomigliare a carbone; questi sono solo alcuni dei modi più bizzarri utilizzati dai cartelli per eludere controlli e problemi.
Nonostante le nuove tecnologie, rimangono comunque gli esseri umani i migliori corrieri. Sempre più utilizzato è l’impianto di protesi al seno ripiene di ovuli di cocaina o altre sostanze, a cui si affianca la tecnica del gesso modellato sulla gamba con pasta di coca pura. Metodi insospettabili che in quanto a efficacia superano l’ingestione diretta della droga, decisamente più rischiosa e riconoscibile.
Per concludere bisogna almeno citare l’ultima novità in campo di stupefacenti, ovvero la cocaina liquida, che potrebbe ridimensionare completamente la logistica dei cartelli. Definita dagli addetti ai lavori come “il futuro dei narcos”, si tratta di polvere di cocaina dissolta in diversi solventi per produrre un liquido che permette, poi, di essere ritrasformato in polvere. Ciliegina sulla torta è il fatto che le proprietà radiologiche di questa sostanza sono diverse da quelle della cocaina in polvere e sono ovviamente più difficili da rilevare.
Il “muro messicano” lungo la frontiera è sempre stato alto quasi quattro metri, ma oggi perde sempre più centrimetri.