Del: 1 Novembre 2015 Di: Arianna Bettin Commenti: 0

Per noi cittadini del Vecchio Continente si tratta di uno sforzo immane: ammettere d’essere oramai abitanti della periferia del mondo. Nell’analisi degli equilibri globali ci dimentichiamo volentieri che il baricentro della Storia è slittato inesorabilmente verso Ovest (o verso Est), agli antipodi della Terra.

Sull’Oceano Pacifico si affacciano quattro superpotenze mondiali: Stati Uniti, Repubblica Popolare Cinese, Giappone e Russia. Li si potrebbe a buon diritto definire i “Big Four” dell’attuale panorama geopolitico internazionale – in questo senso parlano anche i recenti dati della Credit Suisse – e amicizie e rivalità fra queste non sono un mistero. La partita è un due contro due: da una parte USA e Giappone, dall’altra Russia e Cina, come ai vecchi tempi. E, come ai vecchi tempi, si gioca contemporaneamente su più campi e a più livelli.

In questa chiave può esser letta la TPP, la Trans Pacific Partnership – equivalente orientale della tanto dibattuta TTIP – siglata nei primi giorni d’ottobre in chiave apertamente anti-cinese. Fra i dodici contraenti troviamo Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam e, nel ruolo di partner dominante, gli Stati Uniti. Fuori, come detto, rimangono chiaramente la Cina e la Russia.

Ma non sono solo le relazioni economiche e commerciali a determinare vincitori e vinti. Nell’intricato scenario del Pacifico, estremamente rilevanti dal punto di vista strategico risultano alcuni territori, perlopiù isole, ancora oggi oggetto di disputa. Lembi di terra spesso disabitati, la cui sovranità è tuttora incerta.

Le isole Kuril

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Situate in posizione di vantaggio, tra Hokkaido e Kamchatka, a poche miglia marine dallo Stretto di Bering, le isole Curili rientrano sotto il dominio russo. Le quattro isole meridionali però, le isole Iturup, Kunashiri, Shikotan e gli isolotti Habomai, vengono da decenni rivendicate dal Giappone, per l’esattezza dal 1945, quando, a pochi mesi dal termine del conflitto mondiale, l’Unione Sovietica prese possesso dei cosiddetti “territori del Nord” del Sol Levante, espellendo 17mila persone.

Capo Nosappu, riva estrema dell’Hokkaido, dista meno di quattro chilometri dall’ultima delle Habomai. All’indubbio interesse strategico va sommato il potenziale economico che le Curili possono vantare. Il terreno e le acque dell’arcipelago presentano infatti vaste riserve di gas e idrocarburi.

Le trattative per il loro possesso perdurano tuttora e la materia del contendere è talmente sentita che Russia e Giappone, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi, non hanno mai ratificato alcun trattato di pace ufficiale.

Malgrado le recenti aperture, la Russia non ha mai lasciato adito alle speranze giapponesi, che vorrebbero riconosciuta la proprietà di tutte e quattro le isole dell’arcipelago, senza sconti.
E nonostante i rapporti fra i due Paesi si siano fatti negli anni più distesi, tra alti e bassi, gli attriti fra Tokyo e Mosca si sono inaspriti nel corso dell’estate, dopo l’annuncio del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu di un massiccio rafforzamento di una base militare già esistente, attualmente ospitante la XVIII Divisione di artiglieria. Composta di circa 3500 uomini, la divisione può contare su diversi carri armati T-80 e missili antiaerei Buk M-1. Alla base terrestre se ne affianca una navale, pedina fondamentale per Mosca al fine di evitare incursioni nel Mare di Okhotsk.

Il consolidamento delle basi delle Curili rientra nell’enorme piano militare di Putin, piano che prevede la creazione di una cintura di protezione, dal Pacifico al Mare di Siberia, idealmente orientata verso le acque americane. Una buona parte degli sforzi militari del colosso russo si concentreranno da qui al 2018 nell’irrobustimento delle basi artiche di Kotelny, dell’Isola Wrangel, di Capo Schmidt, e quelle pacifiche, situate sulle coste orientali della Chukotka e proprio nelle Curili.

L’isola di Okinawa

Per comprendere appieno l’importanza dell’avamposto russo, bisogna considerare il vastissimo dispiegamento di forze messo in campo dagli Stati Uniti in territorio Giapponese. Un riferimento particolare va fatto alla basi di Kadena e Futenma, sull’isola di Okinawa, perno strategico della marina militare statunitense, che vede lì allocati quasi 50mila soldati e buona parte delle risorse americane, vale a dire circa il 75% delle forze complessive in suolo giapponese.

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Ma proprio in questi giorni sull’isola infuria la protesta: i cittadini hanno intrapreso una lotta serrata contro il progetto di un ulteriore ampliamento della base. Decenni di occupazione hanno trasformato l’antimilitarismo locale in vero e proprio antiamericanismo. La convivenza con l’antico, ingombrante nemico, da sempre mal sofferta, è divenuta ai più intollerabile e le amministrazioni locali, su pressione dell’opinione pubblica, hanno finito per appoggiare la protesta, svolgendo un’azione di regolare ostruzionismo. Da ultimo, il neoeletto governatore dell’isola ha recentemente revocato i permessi rilasciati all’esercito statunitense, bloccando i lavori e causando una profonda spaccatura fra la prefettura e Tokyo.

Una demilitarizzazione della zona è tuttavia impensabile: la base di Okinawa, infatti, non è funzionale solo al controllo delle manovre russe a Settentrione.

Le isole Senkaku

Spostandosi verso Sud, nel grande scacchiere pacifico fa prepotentemente ingresso la Cina, a sua volta interessata a conquistarsi nuovi e più ampi spazi di manovra. La stupefacente crescita economica del Dragone ha risvegliato vecchi sogni d’egemonia.

Fra i territori rivendicati da Pechino troviamo le isole Senkaku. Cinque isolotti nel mezzo del Mare di Cina meridionale, per un totale di 7km quadrati, al centro di una disputa decennale. A contendersi questi atolli disabitati e apparentemente insignificanti sono la Repubblica Popolare Cinese, il Giappone e Taiwan.

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Piccole, ma ricchissime: il sottosuolo e le acque delle Senkaku presenterebbero vasti giacimenti di idrocarburi e un mare estremamente pescoso. Situate ad appena 140km dalla prima isola giapponese, a 300km dalle coste cinesi e a 440km da quelle di Taiwan, garantirebbero il controllo di rotte nautiche fondamentali. Attualmente rientrano sotto il controllo di Tokyo, ma sono oggetto di croniche incursioni da parte della marina cinese. L’ultima, il 24 ottobre. A poco sono servite le critiche e le minacce. Tuttavia, nell’evenienza di un vero e proprio attacco, il Giappone avrebbe le spalle coperte.

In caso di necessità, per quanto non siano coinvolti nella diatriba, in forza di patti sanciti con il governo giapponese gli Stati Uniti sono legittimati a intervenire in supporto dell’alleato.

Tutt’altro che ignara del pericolo rappresentato dalla potenza cinese, la U.S. Army ne segue passo passo i movimenti e risponde a tono, senza curarsi troppo di gettare tizzoni sulla brace.

Il traffico di navi americane nel Mare di Cina è, come vedremo, particolarmente intenso.

Le isole Paracel e Spratly

I rapporti tra USA e Repubblica Popolare Cinese nel Pacifico sono segnati da costanti provocazioni. Non è solo la Cina a violare i limiti territoriali. Anche i recenti sconfinamenti statunitensi hanno scatenato aspre proteste a Pechino.

Il Mare cinese meridionale vede transitare per le sue acque la metà dei carghi commerciali in rotta verso l’Europa, il Medioriente e l’Asia orientale, e sotto il suo fondale si troverebbero, secondo i dati della Banca Mondiale, almeno 7 miliardi di barili e oltre 900 mila miliardi di metri cubi di gas naturale. Inevitabilmente guadagnare il controllo della zona diventa un obiettivo vitale per tutte le nazioni che vi si affacciano, ma non solo. Direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti monitorano costantemente la situazione, nel tentativo di limitare l’azione cinese.

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Le zone calde del confronto sono in particolare due: le isole Paracel e le Spratly.

Le isole Spratly sono delle vere e proprie terre di nessuno. Nel corso degli anni, sono state occupate militarmente, senza alcun accordo né ordine, da Malesia, Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei e Cina. Sei nazioni per 750 isole e isolotti. Tutte insieme non contano che 5km quadrati d’estensione, eppure sono al centro di un contenzioso plurisecolare. La Cina, in particolare, rivendica il possesso di tutto l’arcipelago. Inoltre, da qualche anno ha iniziato a creare delle vere e proprie isole artificiali.

A giugno le autorità filippine hanno denunciato la costruzione di più basi militari cinesi su alcune di queste isole. La notizia, smentita da Pechino, ma confermata dalle immagini satellitari, ha messo in allarme Washington, che ha mobilitato prontamente marina ed esercito. Gli Stati Uniti temono le mire a Oriente del rivale asiatico. La scorsa settimana il governo cinese ha reso noto l’avvistamento di navi da guerra statunitensi in prossimità delle barriere di Subi e Mischief, entro il limite delle 12 miglia nautiche. Lu Kang, portavoce del Ministero degli Esteri, ha dichiarato eloquentemente che Pechino in futuro “risponderà risolutamente a qualsiasi atto deliberatamente provocatorio da parte di qualsiasi nazione”. “Non siamo spaventati all’idea di combattere una guerra nella regione”, avrebbe aggiunto.

Nessuno scrupolo, quindi, a invocare lo scontro diretto, anche se verosimilmente al solo scopo propagandistico. Ma il teatro della battaglia, quella vera, quella aperta, non sarebbe né la Siria, né l’Ucraina.

Se quella in atto in questi mesi fra Mosca e Washington è una rinnovata Guerra Fredda, un fronte del conflitto – forse quello più delicato, di certo quello meno analizzato dai mass-media europei – non può che essere questo, e i sommovimenti che interessano le acque del Pacifico, per quanto silenziosi, di natura tattica, economica, militare più che bellica, lo dimostrano. E nell’analisi dell’attuale situazione non possiamo più dimenticarci che affianco alla Russia, oggi come ieri, c’è ancora la Cina. E che oggi, a differenza di ieri, potrebbe essere proprio la Cina la vera bestia nera americana.

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PER APPROFONDIRE

http://www.gtmglobaltrends.de/1/basi_militari_in_estremo_oriente_acque_agitate_per_stati_uniti_e_russia_5752923.html

http://www.polgeonow.com/2013/06/disputed-territory-senkaku-diaoyu-islands-japan-china.html

Arianna Bettin
Irrequieta studentessa di filosofia, cerco di fare del punto interrogativo la mia ragion d'essere e la chiave di lettura della realtà.
Nel dubbio, ci scrivo, ci corro e ci rido su.

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