
Roberta Bennato
Pochi giorni fa è andato in onda sul canale televisivo inglese Channel 4 un reportage della giornalista Poppy Begum, che è riuscita a infiltrare e filmare alcune attività di supporto e propaganda a Daesh da parte di sostenitori residenti a Londra. Se già questa breve descrizione dipinge una situazione che si può eufemisticamente definire grave e potenzialmente pericolosa, ad aggiungere una nota di inquietudine è il fatto che qui si tratta di sostenitrici donne che parlano ad un pubblico di altre donne, più o meno giovani — tra le più giovani ci sono anche bambine.
La giornalista si è avvalsa dell’aiuto di Aisha (il nome non è quello reale per ovvi motivi di sicurezza), una ragazza londinese musulmana che per un intero anno ha giocato il ruolo della fanantica risentita attraverso il web: creando un account twitter inneggiante alla jihad e predicante contro l’Occidente e i suoi valori, è riuscita ad attirare l’attenzione di reali sostenitrici di Daesh, che hanno allacciato un rapporto virtuale con lei. Attraverso un lavoro certosino di costruzione di un’identità fittizia, Aisha si è guadagnata la fiducia di queste donne fino ad essere invitata ad una piccola manifestazione pro “Islam” – o sarebbe meglio dire pro una certa idea di Islam – davanti a un Mc Donald’s nel pieno centro di Londra.
Armata di microfono e videocamera nascosti sotto il lungo niqab – il velo che copre interamente la figura femminile lasciando scoperta solo una striscia in corrispondenza degli occhi – Aisha ha avuto l’occasione, eccezionale e paurosa insieme, di incontrare queste persone e di mostrare anche a noi i loro volti. Il picchetto, scarno e poco considerato dai passanti, protestava contro l’Occidente in generale e la democrazia in particolare, invocando l’avvento di una prossima supremazia delle ragioni religiose su quelle statali. Chissà se questi manifestanti si sono resi conto che è proprio la libertà d’espressione, conquista della democrazia, che ha permesso loro di manifestare convizioni così convintamente antidemocratiche su pubblica piazza.
Dopo la sua partecipazione attiva al piccolo raduno, Aisha si guadagna l’accesso a una riunione privata. In una stanza alla periferia della città si riunisce regolarmente un gruppo di donne, ragazze e bambine, e a turno una di queste signore ammaestra la sua piccola folla dalla cattedra, spiegando la fortuna di essere in un periodo storico che sta vedendo la nascita del Califfato («Finalmente!») e illustrando colpe degli occidentali e conseguenti punizioni che non tarderanno ad arrivare.
Con la frase ricorrente “die in your rage” queste donne si augurano la distruzione del mondo in cui loro stesse sono vissute e cresciute. Dalle conversazioni apprendiamo che una di esse è una career advisor, e l’indottrinamento stesso non è in arabo ma in inglese, con un forte accento locale — piccoli ma significativi segni di un’integrazione più che avviata ma rigettata completamente prima che potesse arrivare a compimento.
Siamo ormai assuefatti ai messaggi di propaganda di Daesh, alla distorsione di una religione attraverso le parole di fanatici che vorrebbero convincerci del loro fraintendimento, ma stupisce che siano proprio delle donne a sostenere un’ideologia che, tra le altre cose, amplifica e radicalizza uno stato di sottomissione femminile che sarebbe considerato quantomeno indesiderabile da ogni essere razionale.
L’attrazione che queste idee esercitano va spesso al di là della nostra comprensione, ma è chiaro che per i “sedotti” l’identità passa attraverso la contrapposizione. La pluralità e la libertà occidentali offrono di certo il fianco alla relativizzazione dei valori tradizionali, e nella nostra società ogni individuo si trova sempre più isolato nella costruzione della propria storia, ma non ci si immaginava che questa debolezza narrativa dell’Occidente in decadenza si sarebbe scontrata con tentativi tanto radicalmente opposti di definizione identitaria. L’appartenenza ad un gruppo è da sempre ricercata dall’uomo, ma è difficile capire come ciò possa esprimersi nell’adesione ad un’ideologia che non solo critica conquiste di cui giova (o potrebbe giovare) ogni persona, ma che le rinnega contestandone la validità in modo assoluto.
I grandi filosofi hanno sempre individuato nella razionalità la caratteristica fondante dell’essere uomo, ma a quanto pare sono già nati coloro che potrebbero smentirli.