Del: 15 Dicembre 2015 Di: Redazione Commenti: 0

Giulio Bellotto

À mesure que je bois
J’oublie, j’oublie,
J’oublie ce que je bois!

Alcuni autori non si accontentano di stare stampigliati su copertine di volumi in libreria ma risaltano per la raffinatezza dei loro testi o per la capacità rara di creare immagini e situazioni quasi tangibili.

Il nome di Jean Tardieu, scrittore, è esattamente così. Le sue parole in un primo momento colpiscono nel profondo di una quotidianità affaccendata, ma in breve tempo si scordano; non sono versi roboanti o inni epici, eppure sanno lenire e mettere ogni cosa a posto. Una virtù paradossale per un autore che molti ascrivono alla corrente dell’Assurdo e che, benché rifiutasse con sdegno tale etichetta, si divertiva a rovesciare il senso di ogni frase prima ancora di averla scritta, con un andamento quasi hegeliano. “Bevo. Dimentico. Dimentico (quello) che bevo”.

À mesure que je pense
Je dépense, je dépense!

Purtoppo, in Italia come in Francia, una poetica fatta di giochi di parola e di significato non è immediatamente spendibile, forse perché richiede un maggiore sforzo intellettuale rispetto alla poesia dei grandi sentimenti. Siamo di fronte a qualcosa di più piccolo e delicato, che non vuol dire necessariamente ad una letteratura “per piccoli”. Come quaggiù accade per Palazzeschi, Oltralpe è facile trovare Tardieu in qualche antologia per la didattica — spesso lo stesso brano che sto riportando strofa per strofa, Les préfixes, viene proposto come serioso esercizio di grammatica invece che come arguto gioco lessicale.

copertina_tardieu_3D-optim

È invece raro, in Italia, trovarne edizioni recenti; e purtroppo non solo degli esordi di Accents e Les dieux étouffés ma persino delle opere mature, tra cui il capolavoro Monsieur Monsieur, un surreale e riuscitissimo dialogo tra due diversi sé. In quest’ottica l’iniziativa della casa editrice Lemma Press, che ha nuovamente tradotto e pubblicato a cura di Federica Locatelli il volume Diffidate dalle parole, raccolta di sei pièces teatrali, è doppiamente importante: innanzitutto perché ripropone l’autore ad un pubblico che lo conosce ben poco; inoltre perché all’interno del suo corpus l’opera teatrale è spesso messa in secondo piano.

Eppure – per tornare alla strofa precedente, “man mano che penso, spendo” – bisogna riconoscere che Tardieu si spese molto per il teatro, producendo un gran numero di monologhi e atti unici caratterizzati da un’estrema economia di parole e di gesti e da un umorismo rarefatto e inconsueto.

À mesure que je vis
Je dévie, je dévie!

L’arte intesa nelle più svariate sfaccettature comprende necessariamente anche l’aspetto teatrale. Anzi, secondo Storia essenziale del teatro di Brockett, essa è una disciplina che assomma in sé ogni altra arte, dalla musica alla poesia alla prosa drammaturgica a quanto di figurativo c’è nella scenografia. Dunque si potrebbe sentenziare che l’arte drammatica “man mano che vive, devia” nel senso che si porta su binari inaspettati in virtù del suo stesso prendere forma compiuta.

Un esempio formidabile ne è Esercizi di stile, un libretto di Queneau che può essere al contempo da camera e da palcoscenico e in tale veste viene costantemente riproposto; al suo fianco non sfigura però una strada meno frequentata ma altrattanto valida. Mi riferisco al bello spettacolo prodotto dal Teatro Arsenale Diffidate dalle parole che, prendendo le mosse dall’omonima raccolta, introduce lo spettatore al mondo di Tardieu e lo guida alla scoperta degli angoli più nascosti e interessanti della sua scrittura teatrale.

DIFFIDATE DALLE PAROLE_ARSENALE

«Una soffitta, dove sono accatastati in apparente disordine tanti momenti di vita; una gran confusione, vista dal buco della serratura o sbirciando dalla porta appena socchiusa; ma dove basta entrare senza paure per ritrovare volti, situazioni, suoni, immagini». Ecco come Tardieu descrive il suo teatro. Se può interessarci trovarne un contraltare nazionale, il paragone con Pirandello viene spontaneo tanto per la forma dell’atto unico quanto per la volontà che emerge di incarnarsi nell’attore per diventare corpo e parola pronunciata.

Una voce insomma, quietamente stralunata e anonima, che i quattro interpreti (Claudia Lawrence, Mario Ficarrazzo, Giovanni Di Piano e Isabella Bert Sambo) intonano in modo cangiante, garbato e delicato, diretti con precisione da Marina Spreafico. Solo nove brani tra poesia e teatro bastano a restituire nella sua sonorità più squillante un’impressione di lieto stupore per la vita e i suoi misteri, in accordo con i variopinti abiti di scena, la leggera verticalità delle locandine disposte a mo’ di quinte e il controcanto solenne di luci e ambientazione sonora.

Così, attraverso una finzione scenica attentamente costruita, il pubblico rivive la realtà da cui quotidianamente Jean Tardieu attinse e che con costanza riversò su carta nei suoi 91 anni di vita. I più grandi turbamenti furono per lui negli anni della Seconda Guerra Mondiale, durante i quali si unì alla Resistenza. «Fu l’avventura più importante della mia vita». Forse perché là dove la vita vacilla e non ci sono parole a sufficienza, resta l’eco del teatro.

Mais à mesure que je meurs
Je demeure, je demeure!
Ma man mano che muoio io rimango, io rimango!

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