
Protagonista del film è il trasandato e affascinante professore di filosofia Abe Lucas. La storia ha inizio con il suo incarico da insegnante presso l’università di Newport, dove la sua fama lo precede. Due donne subiscono il suo fascino, la quasi troppo perfetta studentessa Jill Pollard, e la collega Rita Richards, trasandata almeno quanto lui. Con Jill instaura un rapporto di intensa, per quanto bizzarra, amicizia, che presto sfocia in un innamoramento da parte della giovane; Rita, invece, vede in Abe l’unica possibilità di fuggire dal suo matrimonio disastrato.
Ma Abe, uomo che non sa più godersi le gioie della vita, vittima dell’alcool e incapace di avere altre donne al suo fianco, oltre alle numerose già avute, sente di poter rinascere grazie a un intervento del caso (elemento centrale nel film).
Origlia la conversazione di una donna che sta per perdere l’affidamento dei propri figli per colpa di un giudice corrotto, Thomas Spengler, e improvvisamente gli viene un’illuminazione: uccidere quel giudice per fare giustizia, per contribuire a migliorare in minima parte questo mondo. Senza un movente, senza nessun legame con la donna in questione, nessuno sarebbe potuto risalire a lui, ed Abe è convinto che il caso della morte del giudice Spengler verrà archiviato tra i tanti casi irrisolti.
Se in un primo momento Abe sembra scamparla, alla fine Jill lo costringe a costituirsi, per evitare che un uomo innocente venga condannato all’ergastolo al suo posto. A questo punto, l’unica soluzione per Abe rimane eliminare anche Jill, ma proprio quando sembra che per lui sia tutto finito, ecco che interviene nuovamente, e per l’ultima volta, il caso, a suo sfavore, ribaltando completamente i ruoli. Il tentativo di eliminare Jill diventa, infatti, la sua stessa condanna a morte.
Come in ogni film di Woody Allen in cui non reciti Woody Allen, i personaggi principali sono una sorta di sua reincarnazione.
In questo caso c’è un po’ di Allen sia nella giovane Jill sia, soprattutto, nell’eccentrico professor Lucas. Jill porta con sé la confusione del regista, e la sua grande, a volte dannosa, immaginazione (con anche un pizzico di sbadataggine), mentre in Abe Allen palesa la sua tendenza al nichilismo e alla totale sfiducia nel mondo corrotto e in chi lo abita. Certo è che se ci fosse stato Allen a interpretare uno dei personaggi sarebbe stato del tutto diverso. Se nelle sue interpretazioni la totale sfiducia nell’essere umano è filtrata dalla tipica ironia un po’ amara, qui l’atmosfera è di quasi totale amarezza, e di ironico c’è ben poco. Questo non è per criticare Joaquin Phoenix, che interpreta con stile il contraddittorio ruolo del protagonista, e nemmeno la giovane stella in ascesa Emma Stone, ma solo per ricordarci di come il migliore interprete dei personaggi di Allen sia Allen stesso.
La rinascita spirituale di Abe avviene per l’appunto proprio nel momento in cui decide di commettere l’omicidio di Thomas Spengler, come se privarlo della sua vita fosse un modo per riconquistare la propria. Si sente vivo al pensiero della morte, al pensiero di poter portare a termine qualcosa che possa contribuire a cambiare il mondo. Per la prima volta dopo tanto tempo riesce di nuovo a usare la sua creatività per architettare questo macabro piano. L’ambito della vita e quello della morte si uniscono in una relazione che ha dell’assurdo.
Se per tutto il corso del film lo spettatore è portato a stare dalla parte di Abe, paladino della giustizia, solo alla fine si rende conto di essere stato dalla parte del “male” – ammesso che si possa fare una netta distinzione tra bene e male in questo contesto.
In realtà, Abe è una piaga sociale quasi quanto il giudice Spengler: per quanto il suo aspetto trasandato possa risultare attraente, un professore di università che beve nelle ore di lezione, che ha pubblicamente una relazione con una studentessa e che ha desideri di uccidere, non è certo quel che vorrebbe la morale tradizionale. Ed è proprio questa morale che ad un certo punto viene citata dallo stesso Abe in relazione all’omicidio da lui commesso: è davvero convinto di aver fatto un gesto morale eliminando dalla società un giudice corrotto. Ciò che però rende il tutto ancora più assurdo è la totale leggerezza con cui Abe compie l’omicidio, quasi come se non si rendesse conto di cosa voglia dire davvero uccidere un uomo, concentrato solo su quell’idea di aver affrontato una nuova esperienza. Una delle poche, evidentemente, che non aveva ancora fatto.
Se mettiamo a fuoco questo fatto, ci rendiamo conto di quanto in realtà la volontà di compiere un atto di giustizia c’entri ben poco con tutta la storia: il professor Lucas, infatti, recupera le sue energie ed è entusiasta solo all’idea di affrontare qualcosa di nuovo, e per il fatto di aver preso una scelta importante che ormai vuole portare a termine.
Ed eccola qui, la sua irrazionalità. Abe agisce in realtà solo guidato dalla passione, e non dalla ragione. Forse era stata proprio la perdita di qualsiasi desiderio ad alimentare il suo annullamento personale, ma il caso ha voluto che la passione di Abe si risvegliasse proprio nella volontà di uccidere un uomo, illudendosi di farlo in nome di una buona causa.
Filtrando il tutto con una certa leggerezza, Allen ci racconta quindi una vera e propria tragedia. Pur mancando di quell’ironia di cui sopra, infatti, i toni si mantengono leggeri e non hanno nulla a che vedere con quelli di Match Point.
Gli attori principali sono senza dubbio azzeccatissimi, dall’assodato professionista Joaquin Phoenix che è perfetto per questa parte, alla novità di Emma Stone, che recita con Allen per la seconda volta (si era vista la prima volta al suo fianco in Magic in the Moolight). Sarà lei, dopo Scarlett Johansonn, la sua nuova musa ispiratrice? Senza dubbio due femminilità e due modi di recitare del tutto diversi, ma sempre inseriti da Allen in modo giusto nelle realtà rappresentate, che in questo non sbaglia (quasi) mai.