Del: 24 Dicembre 2015 Di: Sebastian Bendinelli Commenti: 1

Annunciato trionfalmente ovunque, lo sbarco pre-natalizio dei Beatles su tutte le maggiori piattaforme di streaming musicale offre il destro a una quantità infinita di operazioni nostalgia.

Come l’approdo su iTunes nel 2010, anche questa tardiva apertura allo streaming sarà arrivato alla fine di qualche interminabile braccio di ferro legale, di cui preferiamo non conoscere i dettagli per evitare di ricordare le meschinità e le avide piccolezze degli artisti miliardari e di chi gestisce le loro eredità.

https://www.youtube.com/watch?v=8BHdO-aJQMk

Tra le altre cose che preferiamo dimenticare ci sono senza dubbio Yoko Ono, Ringo Starr e Paul McCarney che ballano e battono le mani tra il pubblico dei Grammy mentre sul palco i Daft Punk suonano Get Lucky con Stevie Wonder che prende una stecca peggio dell’altra (per non parlare di Pharrell), e la collaborazione di McCartney con Rihanna e Kanye West, e altre cose brutte che fanno i giganti della musica del Ventesimo secolo catapultati nel Ventunesimo.

D’altra parte, la scelta del 24 dicembre potrebbe ben essere un tentativo per ribadire la famosa supremazia dei Beatles su Gesù (peraltro ineccepibile. Gesù c’è su Spotify? No), oltre che una mossa commercialmente azzeccata, dato che quarantacinque anni dopo la rottura i Fab Four sotto Natale vendono ancora più dischi di Taylor Swift (e nemmeno lei c’è su Spotify).

Celebriamo allora questo avvento musicale con una top seven di brani composti dal nostro beatle preferito: meno egomaniaco di John Lennon, più sensibile e profondo del frivolo McCartney, con un naso più bello di quello di Ringo Starr: George Harrison.

1. Long, Long, Long (da The Beatles, 1968)

Forse il più bello tra i capolavori sottovalutati dei Beatles: che il destinatario sia un’entità divina o un amore umano, il vibrato della chitarra, la morbidezza dell’organo Hammond, le parole sussurrate, i fill improvvisi di batteria, il crescendo dell’arrangiamento, tutto contribuisce a creare un gioiello di nostalgia e devozione.

2. I Me Mine (da Let it Be, 1970)

Per metà valzer da giorno del giudizio universale e per metà rock n’ roll acido-bianco-furente da Beatles che hanno già fatto e interiorizzato Helter Skelter, I Me Mine è una dolente canzone di rottura, forse un atto d’accusa; di certo dà il titolo all’autobiografia di Harrison, pubblicata nel 1980. Nota: in streaming non troverete la versione da Let it Be… Naked, cioè senza i solenni arrangiamenti orchestrali di Phil Spector che non piacevano a McCartney.

3. While My Guitar Gently Weeps (da The Beatles, 1968)

Un grande classico: simile alla precedente per le atmosfere da apocalisse western, che qui però risolvono in un ritornello psichedelico-sognante; scritta su ispirazione dell’I Ching, ospita famosamente la chitarra dell’amico Eric Clapton (non accreditato, come d’abitudine per i musicisti non-Beatles nei dischi dei Beatles).

4. Love You To (da Revolver, 1966)

Harrison fu probabilmente l’unico dei quattro a trarre un vero e sincero profitto spirituale, e non solo atteggiamenti di maniera, dal contatto con la filosofia indiana. Love You To, insieme alla più pacifica Within You Without You (inclusa l’anno successivo in Sgt. Pepper’s), è il primo compiuto esperimento di fusione tra rock psichedelico occidentale e musica classica indiana.

5. Piggies (da The Beatles, 1968)

Piggies è una stravaganza barocca di appena due minuti all’interno del White Album, ma terribilmente seria nella violenza del testo (che, grugniti inclusi, anticipa di quasi dieci anni i maiali dei Pink Floyd) e inquietante, a posteriori, per l’interpretazione che ne diede Charles Manson.

6. Taxman (da Revolver, 1966)

All’inizio del documentario di Martin Scorsese Living in the Material World, Terry Gilliam dei Monty Python racconta:

There’s George with cancer and he knows his life is limited. And what he does is… Buys a house in Switzerland, so he can avoid paying the taxman here. The man who wrote the song Taxman, even to his final hours, was determined to cheat the taxman.

7. Something (da Abbey Road, 1969)

Romanticheria irrinunciabile, Something è senza dubbio il pezzo di Harrison più noto in assoluto. Diciamocelo, il testo non vale granché, ma per il riff di chitarra introduttivo gli possiamo perdonare tutto.

Sebastian Bendinelli
In missione per fermare la Rivoluzione industriale.

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