Del: 6 Dicembre 2015 Di: Sebastian Bendinelli Commenti: 0

Ieri sera è andata in onda su La7 una puntata di Otto e mezzo intitolata “L’Islam e i nuovi crociati”. Il dibattito al tavolo di Lilli Gruber è riuscito a comprendere quasi interamente tutte le movenze desolanti della discussione pubblica – cioè quanto si sente ripetere incessantemente dai media mainstream – su terrorismo e Stato Islamico.

Ospiti erano Marco Valerio Loprete, vicedirettore de Il Foglio, Hind Talibi, giovane studentessa musulmana, e Angela Terzani, vedova di Tiziano. Lo spunto iniziale è dato proprio dalla rinverdita querelle Terzani-Fallaci, con Loprete a fare ovviamente la parte della Fallaci di turno, tramite perle di saggezza come «a volte bombardare è giusto» e – ritornello fallaciano per eccellenza  «non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani» (con tanti saluti a Anders Breivik e all’estremista cattolico che l’altro giorno ha fatto tre morti in Colorado, per non parlare dei terrorismi passati, di cui proprio in Italia dovremmo sapere qualcosa).

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Ma le posizioni contrapposte non si sono elevate molto al di sopra della stessa pochezza. Angela Terzani si è fatta portavoce dello schema facile e stereotipato che vede nei terroristi soltanto giovani emarginati della banlieue mossi da qualche radicale “disperazione”, riducendo il tutto a un problema di integrazione, che in buona sostanza significa: noi occidentali abbiamo sbagliato qualcosa perché non siamo riusciti ad assorbire e annullare l’identità dei nostri immigrati. Viceversa, la povera Talibi è stata costretta a sentirsi rivolgere domande come «che cosa hanno sbagliato i musulmani?» — accompagnata da un controcanto educato e lusinghiero su Twitter, da parte di colti esponenti della comunità dei cattolici moderati.

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L’opinione pubblica occidentale si nutre quotidianamente di rimozione. Il risultato è la sclerosi fra chi vorrebbe radere al suolo il Medio Oriente a suon di bombe – cosa che peraltro stiamo facendo o lasciando fare – e chi paternalisticamente rivendica un ruolo superiore dell’Occidente, terra della libertà e dell’uguaglianza (ci hanno colpiti nel nostro modo di vivere, quante volte avrete sentito ripetere questa frase dopo Parigi), per neutralizzare l’estremismo religioso.

Alcuni esempi di rimozione:

  • Prima dell’11 settembre il mondo esisteva già. Sempre ieri sera, Lilli Gruber ha affermato che «sono quattordici anni che facciamo la guerra al terrorismo globale», come se Al Qaeda fosse nata il 9 settembre 2001 e prima il Medio Oriente fosse una terra pacifica e felice. Ignorare sistematicamente la storia moderna di quelle terre e il ruolo dell’ingerenza occidentale, coloniale e post-coloniale, dà il permesso a giornalisti opinion-haver come Loprete di celebrare la liberazione NATO dell’Afghanistan dal regime teocratico dei talebani, come se questo fosse stato catapultato dal cielo. (Sulle relazioni tra interessi economico-politici occidentali e jihadismo, ben prima dell’undici settembre, una delle migliori analisi scritte recentemente è questa).
  • Lo Stato Islamico è un’entità territoriale in guerra. Le atrocità commesse dai suoi miliziani vanno interpretate alla luce degli obiettivi – politici – che intende conseguire, ossia la costituzione di una nuova entità statale sulle ceneri dell’ordine geopolitico disegnato a tavolino dalle potenze occidentali con gli accordi di Sykes-Picot e dissoltosi con la guerra civile siriana e lo sfaldamento (in primis militare) dell’Iraq post-Saddam a gestione statunitense. Le decapitazioni in riva al mare e le esecuzioni pubbliche di questo genere, così come la distruzione del patrimonio archeologico e la studiatissima propaganda rivolta all’Occidente, sono armi, strumenti. Non sono espressioni di un cieco furore, barbaro e incomprensibile, incarnazione del male assoluto, come non lo erano i massacri americani nei villaggi vietnamiti o, più recentemente, Abu-Ghraib. Allo stesso modo, gli attentati terroristici nel cuore delle città occidentali – ricordiamo che l’Occidente, prima di essere un nemico “morale” o religioso, è un nemico militare – sono quanto di più lontano si possa immaginare dallo sfogo di una “disperazione” individuale: al contrario, si tratta di strategia. La NATO e la Russia possono permettersi di bombardare Raqqa, lo Stato Islamico può permettersi di avere qualcuno che spari all’impazzata in un teatro di Parigi.
  • Se lo Stato Islamico non fosse in guerra – come è già stato fatto più volte notare – sarebbe probabilmente indistinguibile dall’Arabia Saudita.
  • Strettamente collegato al punto precedente: la guerra condotta dall’IS non può essere definita tuttavia di liberazione o di autodeterminazione, perché si tratta di una minoranza che cerca di prendere il potere con la violenza. Una minoranza in Iraq e in Siria, ma che all’interno dello sterminato mondo musulmano costituisce una minoranza nella minoranza: si sente parlare in continuazione di “terrorismo islamico”, raramente si specifica che si tratta di terrorismo sunnita. Non perché si voglia risparmiare allo spettatore di Otto e mezzo complicate dispute teologiche, ma perché la sola menzione del grande scisma farebbe emergere tutte le contraddizioni del nostro gioco delle alleanze in Medio Oriente. (A lottare in prima linea contro l’IS ci sono, tra gli altri, l’Iran e Hezbollah, musulmani, sciiti, formalmente nostri nemici).
  • D’altra parte, l’attenzione quasi esclusiva sull’aspetto religioso (per giunta in maniera così imprecisa) rispetto all’ascesa di un gruppo che ha tratti ideologici spiccatamente totalitari e fascisti – tanto che la retorica sulla mollezza decadente dell’Occidente accomuna le pagine di Dabiq agli editoriali di Giuliano Ferrara – è curiosa: come se nel 1933 i media liberali avessero commentato la presa di potere del nazismo in termini di estremismo religioso.
  • Infine: a combattere sul terreno il fascismo dell’IS, lontani da qualsiasi alleanza, nell’indifferenza globale – eccezion fatta per la fugace attenzione dedicata alla battaglia di Kobane – restano prima di tutto i curdi, in particolare i siriani delle formazioni YPG e YPJ. Anche loro, in teoria, nostri nemici (e sicuramente nemici del grande alleato turco). A questo proposito fa sempre bene rileggere lo Storify curato da Wu Ming ad agosto 2014.
Sebastian Bendinelli
In missione per fermare la Rivoluzione industriale.

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