Davide Banis
“This is my way of saying goodbye
Cause I can’t do it face to face
So talking to you after it’s too late
From my videotape”[Radiohead, Videotape]
È il 1 febbraio 1996 quando negli Stati Uniti viene pubblicato Infinite Jest, l’opera-mondo di David Foster Wallace che nelle sue quasi milletrecento pagine (di cui circa cento di note) racconta di un’America distopica assuefatta alle Droghe e alle Dipendenze di ogni genere.
Da allora (e in Italia dal 2000, quando Edoardo Nesi conduce con Annalisa Villoresi e Grazia Giua la prima titanica impresa di traduzione dall’inglese), la sua copertina con cielo azzurro e nubi1 segnala internazionalmente un lettore con molta probabilità under 35 e sicuramente ambizioso nei suoi obiettivi di lettura. Molto diffuso anche il piantare questo monolite di carta sullo scaffale più alto delle proprie librerie, a torreggiare pretenziosamente sugli astanti (in quest’ultimo caso, l’averlo letto o meno è secondario).
Ironie a parte, di che cosa parla esattamente Infinite Jest? Wikipedia snocciola i seguenti temi: dipendenze e riabilitazione, suicidio, relazioni familiari, intrattenimento e pubblicità, teoria cinematografica, relazioni Stati Uniti – Canada (con un particolare focus sul separatismo quebechiano) e tennis. Più direttamente, suggerirei che parla di che cosa significhi vivere da essere umano.
Nel corso degli anni, gli studi accademici su David Foster Wallace si sono moltiplicati continuamente fino a diventare quasi una disciplina a sé stante (i Wallace studies) che ha in Infinite Jest la sua praticamente inesauribile miniera principale.
Triangolo di Sierpinski.
David Foster Wallace: “In effetti, [Infinite Jest] è strutturato come una cosa che si chiama triangolo di Sierpinksi, che è un tipo molto primitivo di frattale piramidale, anche se a essere strutturata come un triangolo di Sierpinksi era la prima, era la bozza.
Michael Silverblatt: Cos’è un triangolo di Sierpinski?
David Foster Wallace: Fondamentalmente sembra una piramide che si è fatta un acido…
[Da un’intervista radiofonica]
Per rimanere fedele al testo ed evitare una vaga agiografia, proverò a concentrarmi su uno solo dei tanti aspetti che a vent’anni di distanza dalla sua pubblicazione rivelano Infinite Jest più attuale che mai: l’Intrattenimento. Una delle parti fondamentali della trama è infatti costituita dalla crescente ed inquietante diffusione in Nord America di un misterioso film intitolato per l’appunto “Infinite Jest” (che alla lettera significa “scherzo infinito” ed è una citazione dall’Amleto di Shakespeare), capace di ridurre ipnoticamente i suoi spettatori in uno stato fetale, rendendoli incapaci di desiderare qualcosa che non sia la perpetua visione del film: “Vent’anni, Hank. Era veramente bravo. Un amico. Ora è in una camicia di forza a quattro cinghie. Lo nutrono con i tubi. Non ha nessun desiderio o volontà fondamentale di sopravvivenza, vuole solo continuare a guardare.” (Corsivo mio)
Questo “intrattenimento così interessante da risultare letale” è però nel romanzo soltanto il punto di non ritorno di una cultura pop distopica in cui l’Intrattenimento ha incominciato a pervadere come una droga ogni anfratto della vita sociale americana, accompagnato dal suo fedele alleato, la Pubblicità, che — espulsa per l’arrivo dei canali via cavo dagli spazi televisivi — ha iniziato ad attecchire in ogni altro spazio possibile. Per fare un esempio, gli anni del calendario hanno iniziato ad essere sponsorizzati e gran parte della storia si svolge durante l’Anno del Pannolone per Adulti Depend (che dovrebbe corrispondere al gregoriano 2009).
Nel corrente Anno dell’Arrivo di Netflix in 130 Paesi, le riflessioni di Wallace sugli aspetti passivi di un Intrattenimento sbandierato come interattivo e liberatorio possono aiutarci a fare luce anche sulle nostre quotidiane pratiche di binge-watching e Netflix and chill.
Tanto per cominciare, sul piano della mera fattualità, già nel ’96 Wallace imbrocca che a mettere in seria difficoltà i canali televisivi via cavo (negli USA: Hbo, Mtv, Amc ma anche la Cnn) sarà un’azienda di video a noleggio “seconda solo a Blockbuster” che rivoluzionerà il suo modo di distribuire i propri contenuti mettendo a disposizione degli spettatori decine di migliaia di film, serie TV e documentari, che si “possono vedere direttamente sul monitor ad alta definizione del fidato Pc” o, se si preferisce, “sul buon vecchio televisore con il suo bello schermo” collegato con “al massimo uno o due coassiali” (Ok, Chromecast non funziona esattamente così ma il concetto è chiaro). Come è noto, Netflix viene fondata nel 1997 proprio come azienda di noleggio DVD per poi gradualmente evolversi — dopo che nel 2000 Blockbuster rifiuta di comprarla per 50 milioni di $ — in un servizio di distribuzione di video-on-demand e quindi diventare la regina praticamente incontrastata della televisione in streaming che è oggi.
“Piano piano tutti capirono che guardava le registrazioni magnetiche del programma M*A*S*H* per tutta la notte, forse le riguardava continuamente, con un auricolare di plastica bianca infilato in un orecchio per non far rumore, e scarabocchiava febbrilmente sul suo blocco di appunti.” (p. 770)
L’immagine è tratta dal progetto Brickjest, il tentativo da parte del professor Kevin Griffith e di suo figlio undicenne Sebastian di mettere in scena tutta la storia di Infinite Jest attraverso i mattoncini Lego e pochi altri oggettini scenografici.
Ma al di là delle previsioni, ciò che è veramente interessante è come Wallace individui le due spinte contrapposte che sono alla base della concezione dell’Intrattenimento nel nuovo millennio: da un lato, la sua interattività, l’enorme potere lasciato nelle mani dello spettatore (“Che cosa sarebbe potuto succedere se lo spettatore fosse potuto diventare il regista della programmazione; cosa sarebbe successo se lui/lei avessero potuto definire il tipo di intrattenimento che a loro piaceva e che era loro diritto ricercare?”) e la sua piena legittimazione come pratica sociale culturale e adulta (“che cosa sarebbe successo se la vox e digitus populi avesse potuto scegliere di rendere lo spettacolo a casa propria una cosa letteralmente e totalmente adulta?”), dall’altro le sue implicazioni passive e assuefacenti, le sue caratteristiche di Dipendenza. Che cosa significa — può essere una delle domande che sorgono se proviamo a leggere un fenomeno come Netflix attraverso il filtro di Infinite Jest — il fatto che il binge-watching compulsivo sia passato negli ultimi anni dall’essere una pratica al limite della sociopatia al rappresentare un passatempo pienamente legittimo di cui si è quasi sempre socialmente orgogliosi? Sia chiaro, in Wallace non troviamo una presa di posizione moralistica né sull’Intrattenimento né sulle Droghe più specificatamente intese (c’è da dire che dopo aver letto Infinite Jest si tendono probabilmente a percepire come meno distanti il binge-watching e il binge-drinking). Al contrario, Wallace si è scagliato tutta la vita contro il pensiero anale (ovverosia le prese di posizione cieche e ideologiche, le demonizzazioni, il gretto conservatorismo e via dicendo), mettendo in luce con la sua scrittura, che si muove sempre a 360°, come la realtà sia complessa, spesso animata da spinte contrapposte, e il caso dell’Intrattenimento — come abbiamo visto — non fa eccezione.
In alcuni casi, queste spinte diventano un vero e proprio “doppio vincolo”, un concetto liberamente rielaborato da Wallace a partire dalla definizione data dallo psicologo Gregory Bateson e dalla Scuola di Palo Alto e che in Infinite Jest arriva ad indicare la trappola formata da due alternative che si escludono a vicenda bloccando di fatto le possibilità di scegliere liberamente. Un gustoso esempio di doppio vincolo disfunzionale che troviamo nell’Infinita Commedia wallaciana è rappresentato dal bizzarro dilemma del cleptomane agorafobico. In particolare, un insegnante chiede ai suoi alunni di trovare una soluzione al problema di un uomo che da un lato è cleptomane e quindi vuole appagare il suo desiderio di uscire fuori a rubare ma dall’altra è agorafobico e quindi ha paura proprio ad uscire di casa. In tutta risposta, un alunno incomincia a scrivere di elaborate frodi postali…
Strettamente legato alla tematica del doppio vincolo in Infinite Jest è il tema della solitudine, che Wallace spesso aggancia a quello del solipsismo, ovverosia quella posizione filosofica secondo cui il soggetto pensante non può avere la certezza che l’intero universo al di fuori di lui non sia altro che una rappresentazione individuale della propria coscienza, e che quindi in sostanza Io e Mondo coincidano.
David Foster Wallace a Capri, per un festival letterario, in uno dei suoi rarissimi viaggi al di fuori degli Stati Uniti. Foto: Giovanni Giovannetti
David Lipsky: “Parlami della bandana, me ne accennavi ieri.”
David Foster Wallace: “[…] È più una piccola mania, il segno di una debolezza, ossia del fatto che ho un po’ paura che mi esploda la testa.”
[Da Come Diventare se stessi – David Foster Wallace si racconta, di David Lipsky. Dall’11 febbraio anche in Italia verrà distribuito il film tratto da questo libro con Jason Segal (Marshall di How I met your Mother) nel ruolo di DFW.]
Per combattere le terribili conseguenze emotive ed etiche (ma non solo) di una simile prospettiva, che Wallace vede annidarsi nel postmodernismo (di cui pure stilisticamente è figlio), tutta la sua letteratura — Infinite Jest in testa — è concepita come un tentativo di dialogo con il lettore che è sfidato a partecipare attivamente alla lettura sia ad un livello più superficiale (andando alla ricerca delle note in fondo al libro e dei termini astrusi o tecnici sul dizionario) sia ad uno più profondo, ovverosia a mettersi in gioco, a partecipare a quel “gioco linguistico” che ha bisogno di almeno due giocatori per essere giocato, secondo la filosofia del linguaggio del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, che Wallace recupera e mette alla base di molti suoi lavori.
Non è un caso che lo scrittore Jonathan Franzen, suo grande amico, abbia affermato: “In quasi tutto il periodo della nostra conoscenza, l’interazione forse più intensa che ho avuto con Dave è stata quando ho letto da solo sulla mia poltrona, per dieci sere di fila, il manoscritto di Infinite Jest”. Insomma, la tanto sbandierata interattività delle nuove forme di Intrattenimento sembra in Infinite Jest se non un Desiderio di Morte quantomeno un Desiderio di Vivere il Meno Possibile Senza Dover Morire (al pari di tutte le altre droghe) mentre la letteratura, per come concepita da Wallace, cerca di instaurare un dialogo, quindi una vera interazione, tra scrittore e lettore.
Infinite Jest richiede spazio, tempo e pazienza e ogni tanto viene voglia di metterlo da parte e di lasciarlo torreggiare in pace dalla cima della libreria; anche per questo, il periodo migliore in cui leggerlo è probabilmente l’estate. Nel frattempo ci si può preparare con libri di Wallace più agili come Una cosa divertente che non farò mai più (il reportage di una settimana di crociera ai Caraibi commissionatogli dalla rivista Harper’s) o la collezione di saggi e reportage Considera l’Aragosta (che tratta argomenti che spaziano dagli Oscar del porno all’eponima fiera delle aragoste nel Maine).
- “Hal ha sempre odiato la carta da parati con il cielo e le nuvole perché gli fa venire le vertigini e si sente disorientato e a volte gli sembra di precipitare” [p.610 dell’edizione Einaudi] [↩]