
Il 2016 è un anno bisestile: oggi infatti è il 29 febbraio, cosa che si verifica ogni 4 anni. Questo accorgimento, che allunga di un giorno il mese di febbraio, fa sì che ogni 4 anni non si accumuli un giorno di ritardo tra il calendario e l’anno solare, che porterebbe, alla lunga, a un imbarazzante slittamento delle stagioni.
A introdurre il sistema degli anni bisestili fu, nell’anno 46 a.C., Giulio Cesare con la promulgazione del Calendario detto “giuliano” in suo onore. A fronte di equivoci ed errori di calcolo, l’8 d.C. dovette intervenire anche Augusto, il quale regolò definitivamente l’intercalazione degli anni bisestili.
Nonostante il duplice intervento cesareo, il problema del ritardo non venne in realtà risolto, e tra l’8 d.C. e il 1580 si accumularono ben 10 giorni di ritardo. La questione era cruciale: infatti, per il mondo cristiano era necessario che calendario solare e anno astronomico fossero sincronizzati, al fine di calcolare con esattezza la Pasqua. Essa infatti, secondo la tradizione ebraica, si svolge la domenica successiva al primo plenilunio di Primavera… stagione che, accumulando il calendario giorni di ritardo, iniziava a poco a poco sempre più tardi, comportando che la Pasqua venisse fatta cadere il giorno sbagliato. Il fatto era ancora più increscioso dal momento che dalla data della Pasqua dipendevano anche Pentecoste e Quaresima.
Fu durante il Concilio di Trento (1545-1563) che si decise, tra le altre tantissime cose, di risolvere la questione e, soprattutto, che sarebbe stato il papa a farlo. Così, nel 1582, papa Gregorio XIII si prese ogni responsabilità riformando finalmente il calendario giuliano, che divenne da quell’anno “gregoriano perpetuo”. Grazie ai calcoli dell’astronomo calabrese Luigi Lilio, venne messo a punto il sistema degli anni bisestili: al fine di evitare l’odioso ritardo, venne stabilito che ci fossero 97 anni bisestili ogni 400 anni, e non più 100. L’anno civile medio risultava adesso lungo 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi, con una differenza per eccesso di soli 26/27 secondi da quello solare. Ciò avrebbe comportato alla lunga uno scarto di solo un giorno ogni 3000 anni.
Risolto il problema del ritardo futuro, rimaneva quello del ritardo accumulato di 10 giorni. Gregorio XIII sistemò definitivamente la questione con la bolla “Inter gravissimas” (“Tra i più importanti compiti”), che, oltre a imporre il calendario riformato, decretava che il giorno successivo a giovedì 4 ottobre 1582 fosse venerdì 15 ottobre. Quei 10 giorni dell’anno 1582 non sarebbero mai esistiti. Ma di fatto vennero persi solo nei paesi che accolsero da subito la riforma, e cioè Italia, Spagna, Portogallo e Polonia.
L’intervento papale, per quanto necessario e positivo, non piacque per nulla ai non-cattolici. Il protestante Giovanni Keplero, pur condividendo i calcoli astronomici del calendario gregoriano, disse emblematicamente che era preferibile “essere in disaccordo con le stelle piuttosto che dichiararsi in accordo con il papa”. Nonostante le iniziali resistenze dopo qualche tempo (o meglio qualche secolo) alla fine tutti dovettero cedere e accettare la riforma “papista”. La Germania riformata e la Danimarca l’accolsero nel 1700, i cantoni svizzeri protestanti nel 1701 (ma i Grigioni nel 1811), l’Inghilterra nel 1752 e la Svezia nel 1753. Ma i più cocciuti furono i paesi cristiano-ortodossi: la Russia bolscevica accolse il calendario riformato solo nel 1918 (ed è per questo che la Rivoluzione di ottobre si è svolta in realtà a novembre), mentre la Grecia addirittura nel 1923. Tra i primi paesi non-cristiani ad accettare la riforma troviamo invece il Giappone nel 1873, la Cina nel 1912 e la Turchia nel 1914. Ma non tutti si sono adeguati ai dettami di Roma: infatti, dopo 434 anni, i copti d’Etiopia non hanno ancora accettato il calendario gregoriano.