Come mette in evidenza un recente dossier che riassume le indagini condotte dall’Interpol negli ultimi cinque anni, i criminali più pericolosi attualmente latitanti sono 95.
L’Europol (European Police Office) invece, dal 29 gennaio 2016, ha attivato il sito EuMostWanted in cui i cittadini possono collaborare con la polizia per rintracciare i latitanti più pericolosi, tramite mail e segnalazioni, anche in forma anonima.
Tutti gli Stati membri dell’Unione Europea hanno fornito le liste dei latitanti ricercati nel proprio Stato per creare uno strumento di indagine collaborativo e comune a tutta l’Unione al fine di aumentarne la sicurezza interna.
Anche l’Italia ha fornito all’Europol i nomi dei suoi latitanti pluriomicidi. Primo tra tutti Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993 per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage e altri crimini. Messina Denaro, detto “u siccu”, fu uno dei mandanti delle stragi che si susseguirono tra il 1992 e il 1993.
Durante il maxiprocesso del 1986, i contatti interni alla magistratura e alla politica avevano garantito a Riina che la sua sarebbe stata una pena contenuta. Ma nonostante il suo immenso potere, il verdetto definitivo fu l’ergastolo. Il maxiprocesso si concluse nel 1992 con la conferma da parte della Corte di Cassazione. Oltre a Riina, vennero condannati all’ergastolo 19 capimafia, un atto di portata storica.
È allora che il boss di Corleone comincia a stilare la sua lista nera.
All’inizio di quell’anno, Matteo Messina Denaro, con i fratelli Graviano altri mafiosi di Brancaccio, si era recato a Roma per uccidere Maurizio Costanzo, il giudice Falcone o il ministro Martelli. Prima che l’attentato potesse essere portato a termine, però, arrivò la sentenza definitiva per Riina, che decise di cambiare obiettivo. Il boss preferì richiamare il manipolo sull’isola, mentre un altro gruppo veniva organizzato per uccidere Salvo Lima, europarlamentare della Democrazia Cristiana, luogotenente di Giulio Andreotti in Sicilia.
La vittima successiva sarebbe dovuta essere l’onorevole Calogero Mannino. Dopo aver ricevuto dei crisantemi a casa, confida le sue paure al generale Guazzelli, che però viene ucciso poco dopo. Era passato meno di un mese dall’omicidio Lima. Questo fatto spaventa ancora di più Mannino, che sollecita il capitano dei Ros di Palermo De Donno a mettersi in contatto con l’ex sindaco del capoluogo isolano: Vito Ciancimino, condannato per associazione mafiosa nello stesso anno, che avrebbe dovuto contattare Riina per convincerlo a interrompere la strategia stragista. È stato ipotizzato che furono queste le manovre che diedero inizio alla cosiddetta trattativa stato-mafia.
Cosa Nostra rivolge quindi il mirino verso i suoi nemici storici.
A distanza di due mesi, i due padri del maxiprocesso vengono eliminati, Falcone il 23 maggio sull’autostrada nei pressi di Capaci e Borsellino in via d’Amelio il 12 luglio con le rispettive scorte.
Ma la stagione delle bombe non è ancora finita. In via Fauro a Roma, accanto agli studi di registrazione del Maurizio Costanzo Show il 14 maggio 1993 esplode una bomba, a seguito di alcune dichiarazioni fatte durante una puntata speciale sulla morte di Libero Grassi, imprenditore assassinato dalla mafia. Il conduttore rimane illeso, ma ci sono 24 feriti. Il 26 maggio in via dei Georgofili a Firenze accanto alla Galleria degli Uffizi, esplode una Fiat Uno che causa la morte di 5 persone e il ferimento di una quarantina. Il 26 luglio due autobombe esplodono davanti a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano, provocando 22 feriti. Due giorni dopo esplode il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano in via Palestro.
Nel frattempo, a Forte dei Marmi, Matteo Messina Denaro decideva di scomparire. Inizia cosi nell’estate del 1993 la latitanza del boss. Secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia Francesco Geraci e Vincenzo Sinacori, Messina Denaro ha presenziato a tutte le riunioni decisionali che riguardavano le stragi del 1992-1993, per le quali poi è stato condannato all’ergastolo.
Dopo la morte del padre Francesco Messina Denaro nel 1998 e gli arresti di Riina nel 1993 e di Provenzano nel 2006, Matteo Messina Denaro è subentrato ai vertici della cosca di Castelvetrano e del mandamento della zona di Trapani, diventando il boss più influente di Cosa Nostra.
Gli unici avvistamenti di Matteo Messina Denaro sono quelli ricavati dalle dichiarazioni del pentito Vincenzo Sinacori per quanto riguarda un soggiorno del boss, risalente al 1994 in un ospedale di Barcellona, per un’operazione alla vista.
l maresciallo Saverio Masi, che si è trovato piú di una volta vicino alla cattura di Matteo Messina Denaro, è autore di due relazioni in cui testimonia di aver avvistato il fratello dell’amante di Messina Denaro prima e il boss in persona poi nei primi anni Duemila, a bordo di una macchina vicino a Bagheria. Ma le relazioni non sono mai arrivate in Procura. Era stato ugualmente ostacolato durante le ricerche del covo di Bernardo Provenzano nel corso del 1995, come testimonia Masi nel 2010 durante la deposizione al processo al generale dell’Arma, Mario Mori accusato di aver impedito la cattura di Provenzano.
Un’altra faccenda poco chiara viene a galla nel corso dello stesso processo con protagonista sempre lo scomodo maresciallo Masi che afferma “Il capitano Angeli mi disse che, nel corso di una perquisizione a casa di Ciancimino, trovò il papello di Totò Riina, e informò della scoperta il suo superiore, il colonnello Sottili, ma che questi gli ordinò di non sequestrarlo sostenendo che già lo avevano”.
Questi ed altri eventi gravi insospettiscono il maresciallo Masi che ora è capo scorta di Nino Di Matteo, il pm che si occupa proprio del processo sulla trattativa Stato-mafia.
Nel 2013 presenta un esposto con i nomi di tutti i suoi superiori che durante le ricerche del covo di Provenzano prima e del covo di Matteo Messina Denaro dopo, avrebbero interrotto le sue indagini nel momento in cui si avvicinava alla verità. La strategia sembra essersi ripetuta come da copione per Riina e Provenzano e per Messina Denaro, ma il boss di Castelvetrano è ancora latitante e, come affermano due suoi fedeli, Giovanni Risalvato e Paolo Salvo, in una intercettazione: “A iddru la spirtizza non gli manca, se lo prendono è perché c’è qualcuno che se lo vende…”
Intanto Saverio Masi è stato condannato per tentata truffa, falso materiale e falso ideologico per non aver pagato una multa di 106 euro per eccesso di velocità ricevuta durante lo svolgimento di indagini e di cui aveva fatto subito richiesta di annullamento. Ma quando la polizia stradale ha chiesto la conferma dell’accaduto, la Procura ha negato che la multa fosse stata annullata e così Masi è stato condannato nell’aprile del 2015 a sei mesi di reclusione (pena sospesa).
Questi fatti poco limpidi fanno facilmente intuire come si sia creata la fitta rete di fedeli che rende possibile la latitanza di quello che Forbes ha indicato come uno dei 10 latitanti più pericolosi al mondo.
Proprio su questo si interroga Don Luigi Ciotti, presidente dell’Associazione Libera in Sala Corriere Expo quando, pochi mesi fa, in una delle serate conclusive di Expo. Urla tre volte
“Chi sta proteggendo Matteo Messina Denaro?”
Due recenti indagini hanno portato alla cattura di moltissimi uomini del boss di Castelvetrano grazie alle operazioni Golem (2009) e Golem2 (2010) svolte dalla DDA di Palermo in collaborazione con gli agenti del servizio centrale operativo. Ma gli inquirenti sembrano ancora lontani dalla cattura di Messina Denaro. Di lui possiamo sapere poco: è latitane dal 1993, è in possesso dell’archivio di Totò Riina e di tutte le informazioni mancanti sugli omicidi Falcone e Borsellino, vive nel lusso tra l’Europa e l’America Latina, è amministratore delegato della maggior parte delle aziende del trapanese, non si sa di preciso a quanto ammonti il suo patrimonio come non si sa di preciso quale sia il suo volto.
Matteo Messina Denaro è il vertice di una criminalità non solo organizzata ma anche invasiva, che si insinua nelle fila della politica e della magistratura, e che gli sta garantendo una latitanza che dura ormai da 23 anni.