Del: 12 Febbraio 2016 Di: Redazione Commenti: 1

Beatrice Lucrezia Mosca

 

La mostra, allestita presso il Museo di Storia Naturale di Milano, aperta dal 30 ottobre 2015 chiuderà i battenti fra pochi giorni, il 14 febbraio, dopo aver registrato un’ottima affluenza e avendo lasciato dietro di sé una ancor più positiva impressione.

Alle pareti delle sale sono appese decine e decine di fotografie scattate in più di un secolo dai fotografi, professionisti e amatori, che hanno contribuito a rendere famosa una delle più importanti riviste di divulgazione scientifica del mondo. Dalle immagini in bianco e nero alle fotografie dipinte, dagli scatti più classici alle rappresentazioni digitali.

Nel primo ambiente poche righe riassumono la storia della National Geographic: la società viene fondata il 13 gennaio 1888 da 33 esponenti dell’élite scientifica di Washington DC, tra i quali Alexander G. Bell (l’inventore americano del telefono). Ben presto l’associazione si consolida e l’interesse per le sue ricerche si allarga. Nel giro di qualche anno la società inizia a finanziare spedizioni esplorative nei più remoti luoghi della Terra.

Nell’ottobre 1888 esce il primo numero della famosa rivista, che tuttavia solo nel 1896 comincia ad essere venduta. Da subito il mensile, che oggi è tradotto in 31 lingue e distribuito in tutto il mondo, dimostra di essere un giornale all’avanguardia: propone descrizioni accurate e comprensibili, dei viaggi e delle scoperte geografiche più recenti, accompagnandole con una cartina, cosa mai accaduta prima, e grande attenzione viene posta all’aspetto fotografico, che diventerà poi una caratteristica fondamentale del periodico.

Dopo la prima parte dedicata appunto alla storia della Society, le sale successive vengono sommariamente divise per grandi temi: le esplorazioni via aria, via terra e via mare, la natura, la terra violenta, la scienza e il viaggio.

Largo spazio è occupato dalle immagini relative ad esploratori e scoperte geografiche, primordiale interesse della rivista. In questa sezione viene dato particolare rilievo allo scopo principe della Society, ovvero quello di “migliorare e diffondere le conoscenze geografiche”, rivolgendo un’attenzione particolare alle popolazioni straniere.

Il Machu Picchu si staglia bellissimo e misterioso sullo sfondo in bianco e nero della foto scattata dallo storico Hiram Bingham, che riscoprì la mitica città inca nel 1911. L’immagine attesta la favolosa scoperta, ma al contempo mostra chiaramente come l’uomo occidentale pur di raggiungere il suo scopo non si sia preoccupato degli ettari di foresta vergine che giacciono disboscati ai piedi del sito.

Perù 1912, Hiram Bingham

 

 

Perù 1912, Hiram Bingham

Suggestivo, tra le molte fotografie dedicate alle esplorazioni fra i ghiacci, spicca il ritratto di Robert E. Peary che insieme al suo assistente tentò di raggiungere il Polo Nord nel 1909. Un errore nella strumentazione di orientamento lo indusse a credere di esserci riuscito, mentre gli studi successivi della National Geographic Society ne identificano l’arrivo a diverse miglia di distanza.

Famosa è anche la foto scattata da Hugo Van Lawick alla primatologa Jane Goodall e allo scimpanzé Flint in Tanzania nel 1964, testimonianza delle numerose spedizioni organizzate allo scopo di conoscere meglio le creature che abitano il nostro pianeta.

 

Tanzania1964, Hugo Van Lawick
Tanzania 1964, Hugo Van Lawick

Continuando il percorso, la mostra offre al visitatore immagini incredibili che attestano, oltre alla bellezza dei luoghi e dei soggetti rappresentati, la bravura, l’impegno e il coraggio dei fotografi.

Se consideriamo ad esempio la sezione rivolta alla natura, non si può fare a meno di ammirare la costanza di George Schaller che riuscì dopo ore di appostamento ad immortalare nel 1970 sulle montagne del Pakinstan un leopardo delle nevi, il misterioso “felino fantasma”. Il coraggio di Matias Klum davanti ad un cobra reale e la straordinaria attenzione di Christian Ziegler nel fotografare un colibrì.
A male magnificent hummingbird pollinating an orchid.

 

Panama 2008, Christian Ziegler

Queste e molte altre sono le fotografie di animali con le quali forse maggiormente identifichiamo il National. Alcune immagini ebbero un tale successo che in moltissimi scrissero alla redazione per farsi recapitare una copia della foto a casa, come accadde per quella di Mitsuaki Iwago che ritrae una leonessa col proprio cucciolo al fianco e che fu oggetto di una attenzione fuori dalla norma da parte di milioni di mamme in tutto il mondo.

Particolare interesse è rivolto anche alle nuove scoperte tecnologiche che in diversi campi possono migliorare non solo le tecniche di esplorazione, come per esempio la capsula a immersione di Jacques-Yves Cousteau o quella più moderna che permise al regista James Cameron di scendere nella Fossa delle Marianne nel 2012, ma anche la qualità di vita dell’uomo, come il braccio robotico fotografato nei laboratori di Fredericksburg da Mark Thiessen.

L’ultima parte della mostra è dedicata agli scatti epici, quelli che hanno segnato la storia del National Geographic, imprimendosi nella memoria comune a testimonianza della bellezza del nostro pianeta e dell’impegno svolto dalla rivista nel renderle note al grande pubblico.

 

Afghanistan 1984, Steve McCurry

Accanto alla più nota copertina del periodico, il viso della ragazza afghana di Steve McCurry, si trovano altri scatti storici tra i quali la folla presente al lancio dell’Apollo 11 di Otis Imboden, i bambini che giocano con l’aeroplano nell’Alaska del 1942 di Amos Burg, la foto dei pescatori dello Sri Lanka del medesimo McCurry e il canto accompagnato da percussioni del villaggio di Lukulu in Zambia di Chris Johns (primo fotografo a diventare direttore del magazine).
La mostra, ben organizzata e piacevole da visitare, si dimostra all’altezza delle aspettative degli appassionati lettori della rivista che, tra immagini storiche e fotografie più recenti, possono apprezzare l’evoluzione del periodico. Tuttavia, anche coloro che della rivista conoscono solamente le copertine più famose possono gradire la visita grazie alla bellezza intrinseca degli scatti esposti e alla loro particolare suggestione .

 

 

 

 

 

 

 

Afghanistan 1984, Steve McCurry

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