
- Damasco. Nel pomeriggio di domenica due attentati suicidi hanno causato la morte di 71 persone. 42 soldati e 29 civili, tra cui cinque bambini.
- I kamikaze si sono fatti esplodere a poche centinaia di metri dalla moschea sciita di Sayyida Zeinab — tutt’ora una destinazione di pellegrinaggio, malgrado la guerra civile e l’attentato dell’anno scorso – che non era questa volta l’obiettivo.
- È stato invece colpito un fabbricato civile che ospitava al piano terra un comando delle forze armate siriane. L’attentato è la risposta da parte dello Stato Islamico agli attesissimi negoziati di pace apertisi in grande difficoltà a Ginevra nei giorni scorsi.
- Ginevra. I negoziati, rimandati piú di una volta e in forse fino all’ultimo minuto, sono stati riaperti nella mattina di sabato. Rappresentanti del governo siriano sono nella città svizzera invitati dall’ONU.
- Dall’altra parte del tavolo, l’High Negotiation Committee, un’asse di 34 gruppi opposti al governo di Bashar al–Assad voluto dall’Arabia Saudita.
- La composizione di HNC è instabile e variegata — tra i gruppi si va da Ahrar ash-Sham, gruppo armato salafita dichiaratamente diverso da al–Qaeda, al fianco del quale combatte in Siria solo in funzione anti–ISIS, che mira alla rifondazione dello Stato siriano, e non al panislamismo, a Jaysh al-Islam, armato dall’Arabia Saudita, perfettamente allineato ad al-Qaeda. Il suo fondatore Zahran Alloush ha piú volte cantato le lodi del caduto “sceicco” Osama Bin Laden.
- Ahrar ash-Sham e Jaysh al-Islam sono considerati dalle forze internazionali che agiscono in Siria come organizzazioni terroristiche. Il primo è soggetto di bombardamenti drone da parte degli USA dal 2014.
- Fino all’ultimo minuto di venerdì l’HNC ha mantenuto nel dubbio la propria partecipazione. Solo lunedì nel tardo pomeriggio i suoi rappresentanti sono arrivati a Ginevra.
- Assenti al summit. Incomprensibilmente: il PYD curdo, per richiesta diretta della Turchia. Ovviamente: al–Nusra (al–Qaeda in Syria) e lo Stato Islamico.
- I negoziati sono curati dal mediatore delle Nazioni Unite Staffan de Mistura, che sta svolgendo in queste ore “proximity talks”, incontri unilaterali con le due parti, facendo in qualche modo da portavoce.
- Malgrado de Mistura si dica ottimista, i presupposti per la pace in Siria sono lontanissimi: Assad è riuscito con grande abilità a sfumare il confine tra l’opposizione al suo governo e i gruppi radicali jihadisti – commistione ormai profondissima che non poco mina la credibilità di HNC; dall’altra parte le opposizioni si sono presentate con richieste di apertura inaccettabili per il governo, tra cui il completo cessate il fuoco da parte delle forze armate siriane. È una pretesa sfrontata e improponibile, che potrebbe al massimo essere stato il risultato ultimo di questi incontri, non il presupposto, e che diventa oggettivamente impossibile di fronte a un campo di battaglia che coinvolge altre forze, tra cui lo Stato Islamico, non rappresentate a Ginevra.
- L’Europa segue i negoziati a bocca aperta, o con la bava alla bocca.
- In un momento di disumana sincerità domenica Angela Merkel ha sbottato ricordando che i rifugiati dovrebbero essere rimpatriati “una volta che la guerra sarà finita”, senza approfondire sulle dinamiche della proposta, probabilmente perché troppo mostruose.
- Cameron ha dichiarato che non soccorrerà rifugiati arrivati fino in Francia. In questo momento il Regno Unito (242.495 km2) sopporta 5mila rifugiati. Il Libano (10,452 km2) ne ospita un milione e duecentomila, su 5.800.000 abitanti.
- François Hollande ha annunciato tra applausi scroscianti lo scorso novembre che la Francia accoglierà 30.000 rifugiati. L’isola di Lesbo da sola – sebbene tra atroci difficoltà – ne ospita 17.000. Su 85.000 abitanti.
- Tutto questo nel contesto della patetica operazione comunitaria annunciata lo scorso settembre che prevedeva l’asilo di 120.000 rifugiati — e che è stata finora un “fallimento catastrofico”, secondo Medici Senza Frontiere. L’Europa non sta facendo neanche lontanamente abbastanza, e si lamenta e piange per quel poco che fa.
- 2001. Dopo l’esaurimento della Primavera di Damasco nel 2001, un movimento pacifista che chiedeva a Bashar al–Assad di indire elezioni aperte, dopo il completo naufragio delle riforme promesse, e soprattutto dopo l’opposizione decisa all’invasione dell’Iraq da parte del governo Bush, il governo siriano finisce nel mirino statunitense.
- 2011. Quando gli scontri scaturiti dalla Primavera Araba in Siria si trasformano in una guerra settaria, l’Occidente decide di fare un passo indietro. Nel 2013, dopo le battaglie di Damasco e Aleppo, l’Intelligence statunitense avverte la Casa Bianca dei rischi di non supportare la dittatura di Assad ma viene ignorata.
- È solo nell’estate del 2014, quando nella Siria feudalizzata inizia ad avanzare lo Stato Islamico, che l’interesse per la zona si riaccende.
- Le guerre finiscono quando non c’è piú nessuno a combatterle, e quello che resta della Siria non è altro che un campo di battaglia. Malgrado l’annuncio da parte di Assad di essere disposto a collaborare a un governo di transizione, alla stesura di una nuova costituzione, e ad elezioni entro fine 2017, nessuno dei potentati in campo ha da guadagnare dal ritorno all’ordine.
- La prossima data da aspettare è l’11 febbraio, quando John Kerry incontrerà Sergei Lavrov per discutere di quanto deciso nei negoziati di questi giorni.
- Si scambieranno probabilmente lunghi sguardi intensi e densi di significato.