Del: 27 Marzo 2016 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0

Per poter comprendere a fondo la consistente migrazione eritrea verso l’Europa è necessario ricostruire la Storia recente del Paese, interessato da un vero e proprio abbandono di massa.
Quando nel 1993 l’Eritrea ottenne l’Indipendenza dall’Etiopia, per mano del Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (EPLF), che da anni lottava per la libertà, il suo leader Isaias Afewerki venne eletto presidente provvisorio dall’Assemblea Nazionale. Molto presto, però, la sua autorità sfociò in una forma di potere assoluto che in poco tempo trasformò la forma di governo eritrea in una dittatura militare.
Quattro anni dopo l’affermazione di Afewerki, lo Stato si dotò formalmente di una costituzione che avrebbe dovuto tutelare i diritti umani. La costituzione non fu mai applicata dal governo, che anzi perseguì chi si batteva per la sua attuazione: così avvenne nel 2001, quando scomparirono (probabilmente imprigionati) quattro ministri rei di averne preteso la messa in pratica.
Gli anni successivi videro la degenerazione della realtà eritrea in un sistema monopartitico, intollerante e repressivo nei confronti della stampa e di qualunque manifestazione di dissenso politico.
Ma ancora più della povertà e della mancanza di libertà, ciò che spinge migliaia di persone ad abbandonare il Paese in modo illegale è un percorso di leva militare obbligatoria senza distinzioni di sesso dai 18 ai 40 anni, che il governo giustifica con lo stato di instabilità politica costante in cui versa il Paese.
Se un giovane eritreo non desidera passare buona parte della propria vita prestando servizio militare, ha due possibilità: rimanere nel proprio Paese come disertore e quindi essere destinato a imprigionamenti e torture di ogni tipo, oppure tentare di oltrepassare il confine sfuggendo alle truppe di controllo, in cerca di migliori orizzonti.

Una volta oltrepassata la frontiera, c’è l’Etiopia, che non si distingue certo per la generosità delle sue politiche di accoglienza. Arrivati in Sudan, molti si affidano a trafficanti di uomini per superare il deserto, nella speranza di avvicinarsi al Mediterraneo. Tra i tanti “veri” trafficanti, enorme è il pericolo di frange criminalizzate del gruppo etnico Rashaida, che in collaborazione con elementi criminali beduini rapiscono i rifugiati pretendendo riscatti milionari dalle famiglie. Chi non può pagare, è ucciso.

Alcuni arrivano in Israele, dove le pessime politiche per i rifugiati favoriscono lo sviluppo di campi di detenzione in cui vengono negati i diritti fondamentali e qualsiasi possibilità di condurre una vita dignitosa.

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Per chi invece riesce a superare indenne il viaggio in mezzo al deserto, la tappa seguente è la Libia, che attualmente si trova nel baratro di una confusa guerra civile. Il caos creatosi dopo la deposizione di Gheddafi ha contribuito all’incremento di gruppi criminali che fanno prosperare i loro affari nel traffico illegale di migranti. Coloro che attraversano la Libia spesso vengono trattenuti in centri di reclusione, privati di qualsiasi libertà, sfruttati e sottoposti a violenze e abusi.
Questa è l’impresa che si trova a dover compiere chi abbandona l’Eritrea o più in generale chi emigra dal centro Africa. Tutto questo prima di imbarcarsi e spesso terminare tragicamente il loro viaggio cercando di raggiungere le nostre coste.
L’Eritrea nacque come colonia italiana nel 1890 e spesso analizzando questi fenomeni ci si dimentica di come le politiche imperialiste occidentali abbiano influenzato la storia e la vita di moltissimi popoli africani, compromettendone radicalmente la situazione attuale.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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