
C’è quel luogo comune per cui i videogames sarebbero roba da uomini. Creati da uomini per altri uomini che ci giocherebbero con altri uomini ancora. Le donne non farebbero solo fatica a comprendere l’attrattiva di un bel videogame, ma non sarebbero proprio in grado di giocarci, lontane anni luce dalla logica che ci sta dietro (in realtà, poi, ogni gamer che si rispetti avrebbe avuto almeno una fidanzata in grado di batterlo clamorosamente in qualsiasi videogioco, ma questa è un’altra storia).
Se questa diceria popolare arrivasse a Roberta Williams, lei, molto probabilmente, si farebbe una grassa risata.
La Williams – all’anagrafe Roberta Heuer – nasce a La Verne, una città a poche miglia da Los Angeles, nel 1953. Durante il liceo incontra Ken Williams, suo futuro marito e collega. Nel 1980 i due fondano la Sierra On-Line, etichetta destinata a scrivere la storia del videogame.
In meno di vent’anni di attività – dalla fondazione della Sierra al 1999, quando decide di lasciare il lavoro – Roberta Williams idea, illustra e produce una trentina di videogiochi, quasi tutti di gran successo. Il nome della Williams risulta legato a una vera svolta nella storia degli adventure games: dopo aver sperimentato diverse avventure testuali (i videogiochi d’avventura più diffusi negli anni Ottanta, privi di illustrazioni o contenenti, solo alcune immagini in computer grafica elementare, con mera funzione descrittiva) si accorge che sarebbero risultate molto più avvincenti qualora il giocatore avesse potuto interagire direttamente con la grafica, selezionando parti della scena con il mouse o facendo muovere i vari personaggi nella schermata di gioco.
Nasce da questo intento “Mystery House”, videogioco del 1980, scritto, ideato e disegnato interamente dalla Williams, e passato alla storia come il primo graphic adventure game.
Insomma, la ragazza parrebbe saperci fare con i videogiochi, e decide di fare ancora qualche passo avanti. Dopo “High Rise Adventures”, serie di sei adventure games aperta da “Mystery House”, Roberta inizia a lavorare a “King’s Quest”, il primo videogioco d’avventura in 3D. Il successo riscosso da questo prodotto sarà immenso, tanto da spingere Roberta a produrre sette ulteriori videogiochi gravitanti attorno agli stessi personaggi, creando una vera e propria saga.
Nel 1995, mentre lavorava al settimo videogame della saga, la Willams dà alla luce anche “Phantasmagoria”, gioco tanto amato dal pubblico quanto contestato dalla critica.
Phantasmagoria, videogame di genere horror i cui costi di produzione sfiorano i quattro milioni di dollari, è uno dei primi videogiochi realizzati unendo attori reali a sfondi disegnati a mano attraverso la tecnica del blue screen. Con più di quattro mesi di riprese e circa duecento attori implicati, viene considerato uno degli adventure games meglio riusciti degli anni Novanta, con una nitidezza e una grafica che non avevano uguali nei videogiochi del tempo. Phantasmagoria, che ebbe diversi problemi con la censura, sia per le scene estremamente crude e violente, sia per il linguaggio colorito usato dai vari personaggi, fu il videogioco di cui la Williams si dichiarò maggiormente soddisfatta.
Nel 1999, dopo diciotto anni di fervente attività e un’antologia di videogames a suo nome (“The Roberta Williams Anthology”, del 1997), Roberta decide di staccare la spina e prendersi una lunga vacanza dalla Sierra On-Line, convinta che i tempi siano cambiati e che i videgiochi, così come lei li conosceva, stessero attraversando una fase di declino.
La “Graphic Adventure Queen”, come viene spesso definita, si allontana dal mondo che aveva creato, lo osserva da lontano e tenta di comprendere quali direzioni stesse prendendo, per giocare d’anticipo sui tempi. Ritornerà alla carica nel 2011, con “Odd Manor” , un social network game, lontano dalle grafiche e dalle logiche di gioco da cui era partita.
La Williams, instancabile, parrebbe non essere ancora arrivata al game over. Completa il livello, salva i progressi ottenuti e va avanti.