Del: 28 Maggio 2016 Di: Redazione Commenti: 0

Il 28 maggio 1974, a Brescia, una folla era riunita in Piazza della Loggia in una manifestazione antifascista, quando scoppiò una bomba.

In seguito all’esplosione, 94 persone rimasero ferite e ne morirono 8: Giulietta Banzi Bazzoli, Livia Bottardi Milani, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda.

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A mandare ed eseguire la strage furono esponenti del movimento politico di estrema destra, Ordine Nuovo, a scopo eversivo e intimidatorio nei confronti del crescente antifascismo.

Dopo tre istruttorie e più di quarant’anni di indagini, Carlo Maria Maggi, leader di Ordine Nuovo e Maurizio Tramonte, risultano gli unici responsabili, condannati all’ergastolo.

 

 

Oggi, 42 anni dopo la strage, si è svolta a Brescia la manifestazione in commemorazione delle vittime di Piazza della Loggia.

 

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Discutere sull’importanza del rituale della memoria come espressione di compassione nei confronti di vittime innocenti di una strage tragica e vile, non dovrebbe essere necessario.

A chi ha subito le conseguenze di un’ideologia folle e distorta con la morte e a chi le vive con l’assenza non può che spettare, come sola e minima ricompensa, il ricordo. E ogni gesto che richiede impegno in favore dell’altro consolida l’empatia, natura di ogni forma di legame sociale.

Discutere sull’evento storico in sé, sul suo accadimento e sviluppo come fatto isolato, è altrettanto inefficace se si considera il rischio di perdere uno sguardo d’insieme. Sono i limiti del tempo e della possibilità d’azione a costringere alla scelta e, che si voglia o meno, bisogna sacrificare qualcosa. Una memoria che si lascia inghiottire comporta un ricordo passivo.

E’ del ricordo attivo, invece, che bisogna discutere, un ricordo che cerca tutto e solo quello che serve per costruire vedute più ampie, una forma di pensiero che nasce da una curiosità autonoma e del tutto incondizionata. Il fatto costituisce lo stimolo e l’indagine procede spontaneamente, mossa dal senso di solidarietà e dalla volontà di dare un senso alla presenza storica.

Ricordare la strage di Piazza Loggia serve per capire perché è successa. Aiuta a rilevare quale contorta catena di cause permetta la nascita di tali squallidi meccanismi di terrore e quali altrettanto assurde consuetudini ne consentano la diffusione. Se ci si chiede perché in una folla di cittadini riuniti che esercita il proprio diritto alla libertà d’espressione possa accadere che alcuni di essi perdano la vita per lo scoppio di una bomba, il ricordo della strage di Piazza Loggia aiuta a trovare una risposta. Se ci si chiede come sia possibile che un esasperato senso di appartenenza a un gruppo e motivazioni di ordine politico possano costituire il movente di un’azione terroristica, ricordare la strage di Piazza Loggia aiuta a rispondere. Se non ci si capacita di come, di fronte a una strage di Stato, lo Stato stesso si possa dimostrare assente, la strage di Piazza Loggia rammenta che può accadere.

Il ricordo è anche la soluzione per chi, a fatti come questo, abbastanza vicini da poter essere compatiti e troppo lontani per poter essere compresi, si chiede come poter agire.

Quando la domanda è posta ad alta voce, ha la meglio sul silenzio complice, e impedisce che la strage avvenga: che l’indifferenza consenta e che l’oblio uccida.

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