Camilla Scarpa
Lo scorso 31 agosto, com’è noto, si è aperta la 73esima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. 11 giorni di proiezioni e red carpet, per la gioia di tutti i cinefili e amanti del gossip, 57 lungometraggi presentati, di cui 20 in concorso e addirittura uno in realtà virtuale, Jesus VR.
La poco convenzionale madrina di quest’anno, Sonia Bergamasco, ha convenzionalmente scelto un abito di Armani e altrettanto convenzionalmente – e sinteticamente – inaugurato la kermesse insieme a Paolo Baratta e Augusto Barbera.
Ad onor del vero, pare destinata ad essere ricordata dal grande pubblico soprattutto come la non più giovanissima nuova fidanzata di Montalbano comparsa anche in Quo vado?, piuttosto che come musicista, poetessa e attrice in film impegnati di Bertolucci e Marco Tullio Giordana.
Un destino meno baro pare attendere La la land, il film di apertura della mostra con Emma Stone e Ryan Gosling, per la regia di Damian Chazelle: piace moltissimo a tutti, è un film sul cinema, intergenerazionale, leggero ma non troppo, perfetto per cominciare un festival e sicuramente in lizza per qualche riconoscimento.
Sembra ricordare vagamente Hail Cesar! dei Cohen nel suo essere un musical non smielato, come non se ne vedevano da parecchio. Unico parere contrario il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro che l’ha trovato noioso.
Al contrario, The light between oceans, interpretato da Michael Fassbender e Alicia Vikander diretti da Derek Cianfrance, pare non piacere né alla critica né a gran parte del pubblico. La pellicola, la cui trama ricorda un po’ quella di By the sea, racconta la storia di un guardiano del faro che s’innamora di una donna e la porta a vivere con sé, ma la coppia non riesce ad avere figli finché non arriva al faro una barca con un cadavere e una bimba. Senza volervi svelare il finale, benché sia piuttosto prevedibile, il film pare rassomigliare a una tragedia shakespeariana, con un’alternanza di colpa, peccato e redenzione, ulteriormente sottolineata da una colonna sonora alquanto ingombrante.
Per quanto riguarda Nocturnal animals diretto da Tom Ford, che torna sulle scene dopo “A single man”, con Jake Gyllenhaal e Amy Adams, le aspettative, sicuramente alte, sono soddisfatte solo parzialmente. Si tratta infatti di un film più maturo, ma se possibile ancor più patinato di A single man e racconta la storia di un amore difficile e irrisolto tra una giovane donna e un aspirante scrittore che non riesce a sfondare, un Arturo Bandini senza redenzione finale che, anni dopo il divorzio, le manda un copione contenente una grande dichiarazione d’amore e, al tempo stesso, una teoria della vendetta. Il finale è teso, da thriller, ma forse troppo dilatato in una serie di primi piani non particolarmente originali.
I temi del sacro e del peccato accomunano poi Brimstone e la prima parte dell’attesissima miniserie di Sorrentino The young pope. Il primo, per la regia di Martin Koolhoven, con Dakota Fanning e Kit Harington, finora noto al grande pubblico per il suo ruolo nella serie cult Game of thrones, racconta di una giovane donna perseguitata dal padre, un pastore violento ed omicida; la seconda è incentrata sul primo papa americano, Pio XIII, una bizzarra figura a metà tra i personaggi di Game of thrones e Habemus Papam, con il solito tocco di estetismo volutamente pacchiano, sospeso tra una Coca Cola e una fugace occhiata allo smartphone.
Passiamo a Jackie diretto da Pablo Larraìn, protagonista Natalie Portman, che analizza il personaggio di Jacqueline Kennedy subito dopo l’omicidio del marito, nel momento decisivo per la costruzione del mito di JFK per mezzo di sapienti interviste, che resteranno nella storia. Il dramma è la cifra della prima ora e mezza di film, che poi vira verso un melò sofferto, sentimentale, con una nota finale eroica, addirittura cavalleresca.
Un intervallo leggero viene offerto da Piuma (regia di Roan Johnston), secondo film italiano in concorso. Il film è in primis una commedia all’italiana, con tutti i pregi e i difetti del genere; rispecchia un’Italia irrisolta, un po’ piaciona ma piena di spirito di adattamento.
La vicenda riguarda una coppia di adolescenti in procinto di sostenere l’esame di maturità, alle prese con la gravidanza di lei e le reazioni dei familiari.
Merita di essere menzionato anche Un vie (regia di Stephane Brizè), ennesima trasposizione di un romanzo di Guy de Maupassant, che narra la triste vicenda di una donna ricca e raffinata che non riesce a rimanere al passo con i tempi dopo la Rivoluzione francese, e viene tradita prima dal marito e poi dal figlio scialacquatore. Non è un caso la scelta del formato 4×3, ormai quasi del tutto superato, così come superato è il mondo, interiore ed esteriore, della protagonista.
Non convince la critica The bad batch (regia di Ana Lily Amirpour, con Keanu Reeves e Jim Carrey), storia d’amore distopica ambientata in un deserto infestato dai cannibali, risultando una via di mezzo non particolarmente riuscita tra Tarantino e l’ultimo “Mad Max”.
Last but not least, ecco una breve carrellata degli “animali da red carpet”: blindatissimo Jude Law, folgorante Bianca Balti in un trench particolare, ovazione per Kim Ki Duk da parte di un nutrito gruppo di connazionali coreani giunti apposta per vederlo, intramontabile e irriducibile Marina Ripa di Meana, ormai più adatta a un film di Fellini che a uno di Visconti, nonostante lo sfondo lidense. Imperversano i commenti sugli abiti succinti di Giulia Salemi e Dayane Mello, più scandalosi per il dubbio gusto che per i centimetri di pelle esposta.