
(foto dell’autrice)
Come rispondere alla domanda contenuta nel titolo? Milano, si sa, è una delle città italiane in cima alla lista per questo genere di realtà. Chi negli ultimi anni ha avuto modo di frequentarne qualcuno sa che non è facilissimo incappare in un’offerta che si possa definire veramente nuova, che esuli dal mainstream impersonale senza scadere nell’eccesso posto, ossia quella spasmodica ricerca dell’evento fuori dal coro che, al termine dello stesso, lascia in bocca un sapore di insoddisfazione e saturazione. Non è nemmeno scontato che un caffè letterario di ottima fama, presente sul territorio da molti anni, sia sinonimo di garanzia. E allora cosa fa la differenza? Il proprietario, l’anima del locale, lo spirito con cui decide di intraprendere questa avventura, che influenza anche la proposta culturale del luogo. In parole povere occorre molta passione e poca posa.
Se vi capitasse di trovarvi a Bergamo e volete come noi provare a rispondere alla stessa domanda provate ad entrare a Macondo, caffè letterario di Bergamo bassa. Non troverete Aureliano Buendia ma Fabio, napoletano di nascita, lombardo di recente adozione, libraio per passione. “Napoli, chi la conosce lo sa, non manca di certo di realtà del genere. Non conosce il significato della parola omologazione, vive e brulica di stimoli e contraddizioni”.
Non meno generosamente di Napoli, Bergamo regala scorci da immortalare, buon cibo, calore umano. Vive ed è bella. Come una serata al Macondo. La contingenza che ha fatto capitare qua la sottoscritta è la presentazione di Synesthésis, libro che unisce fotografia a poesia grazie alle foto di Nicolò Piuzzi e alle poesie di Francesco Ravalli, entrambi con uno o più buoni motivi per aver creato il libro, che ha come protagonista, oltre a loro stessi, la città, ed essere lì a presentarlo, domenica scorsa.
“Motivi umani, quindi unici e peculiari, come ogni individuo lo è e per questo interessanti. Magari sbaglio il tiro, ma a parer mio l’unico modo per offrire una scelta nuova in un luogo così a rischio “già visto e sentito” è proprio scegliere di raccontare qualcosa che sia sentito per chi la racconta e amata dal pubblico”, spiega Fabio.
(Un momento della serata)
Fabio, quando e come è nato Macondo?
Un anno e un mese fa. Il nome ovviamente viene dal romanzo Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez. Vengo da Napoli, come si vede dai numerosi libri sulla città disseminati qua intorno a noi. Sono nato vicino allo stadio, ma la mia passione sono sempre stati i libri più che il calcio. Sono un libraio, non un oste, il barista vero è lui (mi indica un omone che oltre a fare un ottimo mojito che vi consiglio, scopro essere un’importante guida alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, ndr.). Tre anni fa ho scelto di restare in questa città, nonostante il mio sogno fosse Berlino. Era però irrealizzabile, visto che mia moglie è un’insegnante di lettere e io non conosco la lingua, se non quel poco che ho appreso lavorando su libri in tedesco. Allora mi sono detto, perché non aprire un bel caffè letterario qui a Bergamo?
La città ha reagito bene?
Direi che ho avuto un buon riscontro. Sia dalla cittadinanza che dalle istituzioni, provincia e assessorato alla cultura sono miei sostenitori. Qui a Macondo organizziamo presentazioni di libri, come quella in cui ci troviamo ora, vernissage, jam session. Il mio pallino resta il teatro, ma non è facile organizzare serate teatrali, dato il bassissimo riscontro economico, nettamente inferiore alle spese necessarie. A Bergamo inoltre conosco vari jazzisti e bluesmen che vengono sia da protagonisti sia in veste di accompagnatori della serata.
La città risponde bene, ci sono tante belle teste qui, giovani in gamba, un bel mix.
Di caffè letterari pullula l’Italia. Cos’ha questo di diverso?
L’italia è un paese dove il settore vinicolo e della ristorazione hanno raggiunto un livello d’avanguardia, ma rischia di restare un discorso fine a se stesso, autoreferenziale. I collegamenti, il network, me lo insegnate voi più giovani di me, conta molto.
Quando parliamo di cultura, specie in Italia, spesso si intende una cultura accademica. Qua voglio dimostrare che la cultura ha svariate forme, che accademia e guitti dialogano, ancora meglio davanti ad un bicchiere di vino.
Una mia cara amica, la Professoressa Paola Gandolfi, docente di Arabo a Ca’ Foscari e Bergamo, una sera, ha ricevuto una mia chiamata in cui le proponevo di organizzare qua un bel corso di calligrafia araba. In prima serata, con tanto di presentazione mangereccia e bevereccia.
Che bell’idea!
Il 10 e 11 dicembre organizzeremo un doppia serata sulla Siria con vari ospiti anche via Skype, ma non vi anticipo troppo. Bergamo non è Milano o Napoli, la concorrenza è diversa, la realtà è diversa. Qui mi è anche successo un episodio spiacevole, dei neonazisti mi hanno spaccato il naso e la solidarietà della città è stata impressionante. Certo nella testa di molti Bergamo è provincia di Milano, da me non viene, per ora almeno, il grande scrittore. Ma stiamo bene così.