
Giunta alla sua quinta edizione, Bookcity torna a Milano dal 17 al 20 novembre. La manifestazione, dedicata alla lettura e alla cultura, vedrà numerosi incontri, dislocati in tutta la città, dalle sale del Castello Sforzesco, al MUDEC, al Museo della Scienza e della Tecnica. La serata inaugurale, tenutasi al Teatro del Verme, ha ospitato molti appassionati e giornalisti, accolti dal sindaco Giuseppe Sala, alcuni tra gli organizzatori – Achille Mauri e l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno – e la protagonista indiscussa, la scrittrice turca Elif Şafak.
In un’intervista con la giornalista e scrittrice isrealiana naturalizzata italiana Rula Jebreal, Şafak – spesso trascritto anche Shafak – ha ripercorso, anche attraverso i suoi romanzi, lo stato attuale della Turchia, sua terra d’origine, la storia della sua infanzia e le infinite ingiustizie subite nel corso della sua vita, proprio a causa delle sue origini.

Nata a Strasburgo, la scrittrice ha viaggiato molto durante la sua infanzia a causa del lavoro della madre, una diplomatica, vivendo fra Madrid e Amman, in Giordania, motivo per cui sostiene di essersi sempre sentita una “cittadina del mondo”. La Spagna, che l’ha accolta negli anni dell’infanzia e adolescenza, è stata teatro di numerosi episodi di isolamento, proprio a causa della sua nazionalità.
“Ero l’unica turca in una scuola di spagnoli. In quegli anni, c’era stato un attentato al papa e l’attentatore era turco. Per mesi, sembrava che avessi tentato io di ucciderlo, solo per le mie origini. L’isolamento è stata la cosa più difficile da superare”.
E’ proprio l’isolamento, di cui parla anche nei suoi romanzi, il motivo della deriva nazionalista di molti stati, fra cui la sua amata Turchia, recentemente teatro di un colpo di stato. “Isolare significa allontanare e allontanare significa rendere vulnerabili. Quando si è vulnerabili la miglior difesa è l’attacco e risulta quasi automatico rattrappirsi in se stessi”. Attualmente residente a Londra, Şafak si è detta molto sconfortata a causa della Brexit, ennesimo esempio di allontanamento.
Sostenitrice dell’uguaglianza dei diritti di uomini e donne, Elif Şafak sostiene che essere stata cresciuta da due donne – la madre e la nonna – l’abbia allontanata dalla tipica mentalità patriarcale turca, permettendole di sviluppare coscienza e pensiero critico. Non a caso, la scrittrice ha cambiato il suo cognome – originariamente Bilgin – in quello attuale, nome della madre, che in turco significa “alba”.

La Turchia, paese d’origine suo e dei suoi genitori, è sempre il cuore dei suoi romanzi: nell’ultimo – Le tre figlie di Eva – le protagoniste sono tre donne, la Peccatrice, la Credente e la Dubbiosa, unite da una forte amicizia nata proprio tra le strade di Istanbul. Inoltre, Şafak ha scelto che la Dubbiosa, Peri, fosse turca, perché “la Turchia stessa vive nel dubbio. Nel dubbio della religione, del governo, della cultura”.
Il più grande pregio dell’antico Impero Ottomano – irrimediabilmente perduto, secondo Elif – era la multiculturalità, unita a multilinguismo, multireligiosità e multietnicità: ad oggi, per la scrittrice, tutto questo non esiste più, rimpiazzato da un governo di repressione e paura, in cui “anche solo un tweet può mandarti in prigione e tacciarti come nemico dello Stato”.
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