
“Animali notturni” è l’ultimo film di Tom Ford. Trattato dal romanzo Tony e Susan di Austria Wrught, appare stilisticamente perfetto, di un gusto raro, ma non solo. Il regista stilista si conferma estremamente innovativo.
Infatti, come nell’intervallarsi di capitoli in un libro, così il film presenta una struttura fatta di interruzioni e sospensioni che rendono lo spettatore un autentico lettore.
Entriamo così nell’ottica della lettrice Susan, l’algida protagonista femminile, una gallerista ambiziosa che, pur cercando di combattere contro un destino da vita borghese, finisce per compierlo. Susan, per tutta la durata del film, si dimostra uno spirito irrisolto e animato da una ribellione logorante, che non ha fatto altro che condurla, con azioni violente e conflittuali, al tragico epilogo della “somiglianza con la madre”. Inaspettatamente nel momento culminante della sua vita, ormai inaridita ed infelice, all’apice di un successo di cui non è soddisfatta, subisce il ritorno nel suo universo emotivo -dopo vent’anni- del suo ex marito, che le invia una copia del suo ultimo romanzo, a lei unicamente dedicato.
Si tratta di un thriller dal forte impatto emotivo, caratterizzato dall’irruzione violenta del passato che sconvolge la vita di Susan. Nel suo vuoto esistenziale comincia a sentirsi di nuovo oggetto delle attenzioni – per quanto drammatiche e sofferenti- di un uomo che ha amato e abbandonato, perché considerato troppo “fragile”, inadatto a soddisfare le sue vanità intellettuali.
L’animale notturno, tristemente disincantato, che vive dentro di lei, non la fa dormire la notte, intrappolandola nel ricordo della sua relazione passata, rivissuta allegoricamente nel romanzo.
Semanticamente, è presente un accostamento visivo emozionante tra Susan e l’Edward-del-romanzo: i due compiono specularmente le stesse azioni, creando un intimo legame di dialogo. I sentimenti lontani e passati, che Susan si è accertata di sopprimere, ora la sconvolgono dalle fondamenta.
Nell’estetica complessiva del film, infatti, si vuole sottolineare proprio questo contrasto tra aridità e anestetizzazione della vita -espressa nel design glaciale delle gallerie di New York, nelle opere d’arte contemporanea come il San Sebastiano di Damien Hirst (un bue imbalsamato e sospeso in liquido cloroformico, trafitto da frecce), a livello stilistico anche nei costumi, nel trucco e nella recitazione estremamente artificiale e una visione sentimentale ed emotiva dell’esistenza, più vera, e per certi versi, più brutale. Questa parte è incarnata da Edward e dal protagonista texano del romanzo, che subisce l’imprevedibilità e la brutalità di eventi, al limite del trucido, a cui lui non è in grado di rispondere.
Le due differenti visioni si scontrano arrivando quasi a una conclusione cinica dell’esistenza, dove l’incanto iniziale di Edward, nella sua semplicità, si trasforma quando ferito, in una vendetta disincantata, in un riscatto senza pari che porta inizialmente il disincanto di Susan, incarnazione dell’Elite del mondo modaiolo, a un barlume di speranza, che si tramuta poi nel peggior inganno: la disillusione.
Il film esprime cosí la tragicità dell’amore che si trasforma in vendetta, in un sadismo all’interno del quale si alternano vittime e carnefici, tra chi giudica e chi subisce, tra chi è più forte e chi è più debole, tra chi si riscatta e chi si allinea.
Il libro dell’ex marito nasconde un amante ferito, che devia dal conflitto diretto con la moglie scegliendo l’escamotage letterario in cui la chiama in causa- rendendola una dei protagonisti-, la costringe a toccare le ferite ribollenti del suo amore, per poi inferirle il colpo più mortale.
L’efficacia catartica di questo dramma, di questo scambio di accuse ossessionanti in cui nessuno è vincitore ma solo vittima, è garantita da questo meccanismo violento che ci lega all’amante quanto al libro prediletto, che inevitabilmente ami e che non puoi smettere di leggere, ma che ti porta inevitabilmente ad affrontare cose che non vorresti mai vedere, rendendoti dipendente dalla stessa causa del tuo male.
La cosa affascinante del film è proprio l’esteticità diffusa di un regista-stilista, che ci mostra con sguardo critico il mondo elitario di cui fa’ parte, risulta essere sincera.
Arte, moda, vita, amore e vendetta si mescolano in un thriller affascinante, in cui l’immagine estetica non è fine a se stessa ma in grado di dipingere, con grande profondità di campo, il chiaroscuro dell’esistenza.