
L’impatto della presenza degli esseri umani sulla Terra è ormai così pervasivo da aver spinto alcuni studiosi, tra cui il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, a battezzare Antropocene l’epoca geologica in cui stiamo vivendo.
La proposta non è stata accettata da tutti, e non c’è nemmeno un accordo unanime su quando l’influenza dell’umanità abbia iniziato a lasciare un segno indelebile sul pianeta.
Non c’è dubbio, però, che la nostra specie stia cambiando il mondo.
La scala cronostratigrafica internazionale dei tempi geologici dell’ICS (International Commission of Stratigraphy) è un modo per suddividere il tempo trascorso dalla formazione della Terra, circa 4,5 miliardi di anni fa. Concettualmente ogni suddivisione raggruppa una fase della storia della Terra, caratterizzata e delimitata da determinati eventi geologici o paleontologici, come le estinzioni di massa. Le unità geocronologiche sono in unità di tempo via via decrescenti: eoni, ere, periodi, epoche ed età. L’intervallo di tempo di ogni categoria varia e le suddivisioni aumentano avvicinandosi a tempi più prossimi, in quanto il numero di dati rilevabili aumenta con la vicinanza storica degli eventi.
Dunque, l’eone del Criptozoico è diviso in una sola era, il Precambriano, a sua volta diviso in solo due periodi; mentre l’eone del Fanerozico è diviso in tre ere: Paleozoico, Mesozoico e Cenozoico, quest’ultimo diviso, oltre che in periodi, anche in epoche. L’ultimo periodo è il Quaternario con le epoche di Pleistocene e Olocene.
L’Olocene è l’epoca geologica più recente, quella in cui ci troviamo oggi, che ha avuto il suo inizio convenzionalmente circa 11 700 anni fa. Il suo nome, dal greco ὅλος e καινός significa del tutto recente. Il limite con l’epoca inferiore, il Pleistocene, è definito sulla base del decadimento del 14C, un isotopo radioattivo del carbonio, e coincide approssimativamente con il termine dell’ultima fase glaciale che ha interessato l’emisfero settentrionale.
Le estinzioni di piante e animali, iniziate nel Pleistocene, sono continuate nell’Olocene e persistono anche al giorno d’oggi. Dunque l’estinzione è un avvenimento naturale nel corso della storia del pianeta Terra. Alcune delle estinzioni moderne, tuttavia, sono attribuibili all’influenza dell’uomo e si caratterizzano per avvenire in un tempo relativamente breve.
Tra queste l’uro in Europa, il moa in Nuova Zelanda e il dodo nell’isola di Mauritius, sono solo alcune tra le più celebri.
Il 29 Agosto del 2016 un gruppo di esperti geologi, provenienti da diverse organizzazioni internazionali, si è riunito a Città del Capo per discutere la teoria dell’Antropocene, secondo la quale ci troveremmo in una nuova epoca geologica. Una teoria sostenuta da precise considerazioni stratigrafiche, secondo le quali gli esseri umani stanno rimodellando il pianeta Terra.
In uno studio pubblicato su Science si presentano gli indizi che porterebbero a distinguere l’epoca in cui viviamo dall’Olocene in base a chiare differenze nelle rocce. Dai primi esperimenti nucleari del Progetto Manhattan nel New Mexico, gli elementi radioattivi provenienti da centinaia di test atomici svolti nell’atmosfera hanno cominciato ad apparire nei sedimenti di tutto il mondo.
Dalla seconda metà del XIX secolo ad oggi la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha subito un’impennata raggiungendo i 400ppm (parti per milione), quando negli ultimi trecento anni si stimava essere intorno ai 280-290ppm. L’impennata è da mettere in relazione con l‘utilizzo dei combustibili fossili. Le emissioni globali di CO2 potrebbero lasciare traccia, sotto forma di depositi di isotopi di carbonio-12 e carbonio-13, nei ghiacci, ma anche nelle piante, nei sedimenti di arenaria, nelle ossa fossili e nelle conchiglie. Nei fanghi, che un giorno diventeranno rocce, si posano frammenti di alluminio, cemento e plastica: i materiali più largamente impiegati dalla società umana.
Il primo era sconosciuto prima dell’inizio del XIX secolo, ma da allora ne sono state prodotte circa 500 milioni di tonnellate. Il calcestruzzo era noto già agli antichi Romani, ma dal XX secolo la produzione ha raggiunto ritmi tali da averne ora un chilo per metro quadrato di Terra. Per quanto riguarda la plastica, la produzione raggiunge i 500 milioni di tonnellate all’anno. I livelli di fosforo e azoto nel suolo, per l’utilizzo massiccio di fertilizzanti, potrebbero lasciare un’impronta chimica.
Dunque, attività minerarie, perforazioni, deforestazione, urbanizzazione, erosione costiera e attività agricole estensive stanno mutando inesorabilmente la geologia terrestre, incidendo sul modo in cui avviene la stratificazione dei sedimenti rocciosi. Forse, però, il dato più noto dell’impatto umano sul pianeta è l’aumento della temperatura, nell’ultimo secolo pari a 0,6-0,9 °C, molto più della variabilità naturale registrata per l’Olocene. Allo stesso tempo, il livello dei mari ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 115 mila anni, secondo uno studio condotto dall’ex climatologo della Nasa James Hansen.
Le prove definitive del passaggio epocale richiederanno tempo. La specie umana potrebbe anche estinguersi, si consideri che in media una specie vive da uno a pochi milioni di anni, magari proprio a causa dei cambiamenti climatici.
Eppure, i cambiamenti climatici e le estinzioni sono sempre avvenuti nel corso della millenaria storia della Terra. Pertanto i cambiamenti climatici causati dall’uomo avranno come conseguenza principale di portare la nostra specie ad un’estinzione che, presto o tardi, si sarebbe comunque dovuta verificare. Forse l’obiettivo più concreto degli scienziati che chiedono il riconoscimento dell’Antropocene è quello di dare un monito che spinga a ristabilire gli equilibri necessari alla sopravvivenza dell’uomo.