Del: 9 Dicembre 2016 Di: Novella Gianfranceschi Commenti: 0

Parafrasando ciò che scrisse Galileo Galilei nel Saggiatore, se non s’impara prima a leggere i caratteri in cui è scritto il libro dell’universo sarà sempre un aggirarsi vanamente in un oscuro labirinto. I caratteri in cui è scritta la vita sono quattro, ACGT, e la lingua è il codice genetico universale: le quattro lettere dell’alfabeto indicano le quattro basi nucleotidiche, banalmente i mattoni con cui è costruito il DNA.

Con codice genetico, invece, s’intendono le regole attraverso le quali è decodificata l’informazione contenuta nel DNA. I geni, che sono tradotti in proteine, sono composti da unità di tre nucleotidi (che differiscono per una delle quattro basi nucleotidiche) chiamati codoni, di cui ciascuna di esse codifica, per un singolo amminoacido, i mattoni di cui sono costruite le proteine. Questo codice è definito universale, perché identico in tutti gli esseri viventi (ogni tripletta ha lo stesso significato per tutti gli organismi).

Forse saprete che tra il DNA umano e quello di uno scimpanzé c’è solo il 2% di differenza. Ma anche specie molto diverse contengono geni simili o uguali: condividiamo il 60% dei geni della mosca della frutta, la Drosophila, il 75% del DNA del verme nematode, il 90% del topo e un rispettabile 30% del comune lievito. Ha quindi poco senso parlare di “geni del pomodoro”, “del tonno”, “del vitello” o “del topo”.

Parlando di mattoni che costruiscono DNA e proteine, esiste un insieme di tecniche di ingegneria genetica finalizzate ad inserire geni o modificarli per produrne più adatti a rispondere a esigenze specifiche. L’agricoltura da centinaia di anni si basa sulla selezione degli organismi coltivati e sul loro miglioramento genetico fatto dai contadini incrociando varietà e ottenendo piante con caratteristiche desiderabili.

Il mais non è sempre stato la spiga di colore giallo che conosciamo oggi: la varietà selvatica originaria dell’America si chiamava Teosinte. Il frumento duro comunemente usato per la pasta è stato ottenuto da un’irradiazione combinata di neutroni e raggi gamma che hanno modificato dei geni di un’altra varietà di frumento.

 

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Fino a poco tempo fa le modifiche erano apportate in modo casuale e solo in un secondo momento avveniva la ricerca e selezione dei caratteri desiderati, mentre oggi si cercano di comprendere, prima della modificazione, i meccanismi di base dei caratteri che s’intendono modificare e quindi di modificare o inserire solo quei geni che li controllano.

Un esempio è quello della sintesi del beta-carotene, una molecola sintetizzata solo in piante e batteri, prodotto di una lunga serie di reazioni chimiche. A partire da una molecola precursore, grazie alla partecipazione di tanti “operai”, gli enzimi, si assiste a un preciso susseguirsi di modificazioni biochimiche che portano alla molecola finale. Se uno di questi operai manca, la catena si interrompe e la sintesi non può giungere al termine. Nel caso del β-carotene si parte da una sostanza chiamata GGDP, che viene modificata in quattro passaggi con la collaborazione di altrettanti enzimi. La vitamina A viene prodotta nel nostro corpo a partire dal β-carotene che troviamo nella frutta e nella verdura.

Il problema è che, come stimato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra i 100 e i 140 milioni di bambini sotto i 5 anni sono a rischio di carenza di vitamina A: il 69% dei bambini del Sud-Est Asiatico e il 49% dei bambini africani si trovano in questa condizione. La carenza di vitamina A (in inglese VAD, Vitamin A Deficiency) porta a diverse conseguenze, la cui gravità é proporzionale all’entità della carenza. La prima manifestazione é la xeroftalmia, cioè l’impossibilità di produrre lacrime con conseguente secchezza degli occhi, per poi passare alla cecità notturna fino ad arrivare alla cecità totale e irreversibile. Altre conseguenze sono anemia, disfunzioni riproduttive, turbe dell’accrescimento, aumento della suscettibilità alle malattie, e quindi maggiore mortalità.

Il fattore fondamentale per cui i bambini dei Paesi in via di sviluppo soffrono di VAD é la malnutrizione: lo scarso accesso a frutta e verdura ricchi in vitamina A – che si aggrava nelle stagioni in cui la frutta manca del tutto – associato in generale alla mancanza di grassi nella dieta. Il riso, il principale componente della dieta delle popolazioni che soffrono di VAD, è presente tutto l’anno, anche quando la frutta scarseggia, ma è carente di beta-carotene.

Un aiuto notevole, in risposta al problema, è arrivato dal professor Ingo Potrykus, che nel 1999 ha prodotto il “riso giallo”: esso, proprio per la sua insolita colorazione, è stato chiamato Golden Rice.

Nei chicchi di riso bianco il GGDP – la molecola precursore della provitamina-A – è presente, ma mancano gli operai che lo trasformano: il Golden Rice è stato ottenuto inserendo proprio questi operai mancanti. Il primo operaio è fornito da un gene chiamato psy, proveniente da piante di narciso, mentre gli altri tre sono sostituiti da un unico operaio super-versatile codificato da un gene proveniente dal batterio Erwinia uredovora. Il gioco è fatto: il chicco bianco diventa giallo grazie ai carotenoidi che adesso contiene.

 

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Ai più attenti non sarà sfuggito che questo procedimento ha richiesto di prendere un gene da un organismo e metterlo in un altro ma, come detto, il codice genetico è universale. Il Golden Rice è transgenico, OGM, e questo spiega forse perché, a 16 anni dalla sua creazione, non venga ancora coltivato dove ce ne sarebbe effettivamente bisogno.

Uno studio compiuto su 68 bambini cinesi ha però dimostrato che è sufficiente una porzione di 50 grammi di Golden Rice per soddisfare il 60% del fabbisogno giornaliero di provitamina-A. Questo articolo è stato poi ritrattato, non perché i dati fossero contraffatti, ma a seguito di una segnalazione di Greenpeace che citava che i genitori dei bambini in esame non erano stati informati del fatto che ai loro figli sarebbero stati somministrati alimenti OGM.

Al di là di quello che sembra essere solo un vizio di forma, i dati scientifici ci dicono che il Golden Rice può davvero essere una fonte di carotene.

Quello che però non è ancora stato verificato è se il carotene possa poi essere efficacemente convertito in vitamina A in persone affette da VAD, con un metabolismo alterato e soggette a frequenti infezioni.

Inoltre, bisogna ancora determinare con certezza se queste sostanze si conservino intatte nel corso dei lunghi periodi in cui il riso viene esposto alle alte temperature e umidità tipiche delle regioni a cui è destinato. In tutti questi anni quello del Golden Rice è diventato un caso simbolico e controverso: da un lato si schiera chi si oppone al suo utilizzo con campagne mediatiche, gridando che il riso dorato aprirà la strada alla diffusione di altri OGM; dall’altro chi accusa i detrattori di essere responsabili per la morte di tutti quei bambini che, carenti di vitamina A, non hanno potuto beneficiare del riso dorato nel corso di tutti questi anni.

Certo è che l’opposizione ideologica a priori verso il Golden Rice «perché è un OGM» è ingenua e priva di significato, anche se la sola introduzione del Golden Rice nella dieta delle persone che soffrono di VAD non sarebbe comunque sufficiente a risolvere tutte le loro problematiche alimentari (poiché la loro dieta è spesso carente anche di altri nutrienti). Potrebbe però contribuire a migliorare le loro condizioni di vita se fosse inserito all’interno di un progetto più articolato mirato a fornire una dieta più ricca e variata.

 

 

 

Novella Gianfranceschi
Laureanda in biologia evoluzionistica, penso mentre cammino e cammino per pensare, così evito qualsiasi tipo di dualismo mente-corpo, filosofia e scienza.

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