Oggi, 7 Dicembre, approda nelle sale italiane il nuovo lungometraggio di Xavier Dolan, Juste la fin du monde , adattamento dell’omonima opera teatrale di Jean-Luc Lagarce.
La storia è quella di Louis, uno scrittore che per un motivo infelice è portato a ricongiungersi al proprio nucleo familiare, da tempo abbandonato, dove ritroverà l’affetto dei parenti ma anche le motivazioni che lo avevano spinto ad allontanarsi.
Vincitore del Grand Prix alla 69ª edizione del festival di Cannes, il film vanta un cast stellare: da autorità del calibro di Vincent Cassel e Marion Cotillard, a volti un po’ più freschi come quello della compagna di Adèle e ultima Bond girl, Léa Seydoux.
Per preparare il terreno alla pellicola di Dolan, Milano ha ospitato ieri una rassegna di 18 ore presso il cinema Beltrade, in cui sono stati proiettati tutti i suoi lungometraggi e prossimamente si potrà partecipare ad un workshop presso BASE Milano a cura di LongTake il 5, 12 e 19 Dicembre dedicato alla scoperta di Dolan sotto una luce un po’ più tecnica.
Nato a Montréal, classe 1989, è un attore, regista, sceneggiatore e doppiatore canadese.
A soli 27 anni, è il regista più giovane ad aver presentato un film alla mostra del cinema di Venezia (ne aveva 24 alla presentazione del suo Tom à la ferme al festival, ndr.).
Definito azzeccatamente da Variety “l’enfant prodige canadese”, Dolan scrive il suo primo film a soli 16 anni, per poi dirigerlo e interpretarlo a 19. Ad oggi, ha firmato 6 lungometraggi: J’ai tué ma mère (2009), Les Amours imaginaires (2010), Laurence Anyways (2012), Tom à la ferme (2013), Mommy (2014) e Juste la fin du monde (2016).
Nonostante la giovane età, sembra già avere un’idea di cinema ben definita. Tutti i suoi film si caratterizzano per una continuità sul piano stilistico e tematico, grazie alla quale è facile ricondurli alla sua filmografia. Usa formati insoliti come l’1:1, si serve di cromatismi accesi, attribuisce un ruolo centrale alla colonna sonora, creando inserti che hanno l’aspetto di veri e propri video-clip.
Dolan spinge ogni cosa sino alle soglie del kitsch, costumi e scenografie talvolta sono tanto eccentrici da apparire inverosimili, così come la scelta dei colori, e in ogni caso riesce a non scadere mai nel pacchiano. Un’eccezione, per quanto riguarda lo stile, è rappresentata da Tom à la ferme, dove l’eccentricità cede il passo ad un linguaggio scarno, colori cupi e un’atmosfera dove è difficile ritrovare il Dolan dei film precedenti, ma perfettamente funzionale alle esigenze narrative.
Gay dichiarato, affronta il tema dell’omosessualità in modo personale ma mai ossessivo; riflette principalmente sul bisogno di libertà dell’individuo, la libertà di essere sé stesso in qualunque aspetto della propria esistenza, in primis quello della sessualità. Molto presente è anche il confronto con la figura materna. Nei suoi film c’è sempre un rapporto intenso, conflittuale e al tempo stesso quasi edipico del protagonista con la madre. Tutti i personaggi di Dolan, che in tre dei suoi film è attore protagonista, sono ben definiti, ma anche tanto simili tra loro da risultare quasi paradigmi di una stessa tipologia d’individuo.
Tutti questi elementi fanno sì che i suoi lavori risultino decisamente più godibili se affrontati con una visione d’insieme, al fine di cogliere la moltitudine di rimandi che si fa evidente anche in particolari come la scelta del cast. Anne Dorval e Suzanne Clément, entrambe presenze costanti in quasi tutti i suoi film, interpretano esattamente gli stessi ruoli in J’ai tué ma mère e Mommy così come Niels Schneider in J’ai tué ma mère e Les Amours imaginaires.
Laurence Anyways, 2010
Non mancano nemmeno i rimandi più sottili, come la comparsa di un giovanissimo Antoine Olivier Pilon in Laurence Anyways, che nella breve scena assegnatagli sembra comportarsi come una prefigurazione infantile del suo personaggio successivo, l’esuberante Steve, protagonista di Mommy.
Celebre di quest’ultimo film, è una sequenza in cui Dolan riesce a comunicare sfruttando unicamente le potenzialità dell’immagine e della colonna sonora.
Sulle note di Wonderwall degli Oasis, il giovane protagonista compie un gesto emblematico. La realtà del film, quasi interamente costretta in un quadrato (formato 1:1), viene liberata dalle mani di Steve. In un momento in cui è necessario che lo spettatore respiri la sua stessa libertà, il ragazzo allarga con le mani l’inquadratura, distendendo l’immagine in uno spazioso 16:9, restituendo la pienezza della visione.
Di grande bellezza è anche il riproporsi costante dell’immagine della farfalla in J’ai tué ma mère, presente in numerosi inserti extradiegetici e in Laurance Anyways, come simbolo di metamorfosi e rinascita, quando il transessuale Laurence ne lascia uscire una dalla bocca, segnando il momento in cui rinuncia alla donna amata pur di difendere la propria identità sessuale.
Difficile restare indifferenti ad un artista di questo tipo: che piaccia o no, i suoi film sono un’esplosione di colore, musica, vita.
Vale quindi la pena di dare un’occhiata al mondo di Xavier Dolan, giovanissimo, ma che in quanto a talento non ha molto da invidiare ai “pezzi grossi” del panorama cinematografico internazionale.