Per piacere a Vittorio Sgarbi bisogna essere Vittorio Sgarbi.
Vittorio è un personaggio affascinante e contraddittorio: elitario ma versatile, popolare ma scontroso, erudito ma volgare.
Apparentemente facile da decifrare e prevedibile in ciò che dice e fa, in realtà si rivela una creatura paradossalmente molto più ambigua di quanto comunemente si pensi.
Di un suo discorso, frase, risposta, tweet, è facile aspettarsi si tratti di un esasperato elogio a se stesso o una violenta critica senza scrupoli contro qualcuno o qualcosa.
Ma il mistero è proprio questo. Contro chi? Quali sono gli avversari di Sgarbi? In nome di cosa li accusa? Da che parte stanno i suoi nemici? Sgarbi da che parte sta?
Vittorio Sgarbi odia “Il Volo”, le architetture brutte, Cacciari, la Mussolini, gli omosessuali, l’Euro, la Clinton, Alfano, “i politici italiani” e qualche sindaco.
Elementi eterogenei, appartenenti a categorie diverse, inclassificabili. Ama Caravaggio e sostiene Matteo Salvini.
E’ un personaggio che fa audience, vive nella virtualità, pubblica video di propaganda alle proprie attività o di condanna a fatti o eventi, partecipa a talk show e dimostra scarso autocontrollo nella gestione di dibattiti, specie nel confronto con opinioni discordi dalle sue.
Lui stesso vuole essere oggetto di dibattito, dall’interno di un sistema, grida, proclama, professa di non esserne considerato parte.
L’animo leggero e insostenibile di Sgarbi pare che in generale vada contro tutti, esattamente come quello dei grillini.
Allora la questione è tanto più enigmatica, constatato che l’ultimo bersaglio – il bersaglio dei bersagli – di Sgarbi sono proprio gli esponenti del M5s.
Il critico, noto per il suo non lieve tatto, in merito al partito di Grillo dà tutto se stesso. Non li disprezza, li odia: perché sono al centro di ogni suo discorso, perché non perde occasione per dire che i grillini sono “ignoranti come capre”, che il Movimento Cinque Stelle “è pieno di gente onesta che non sa un cazzo”.
Gli esponenti Cinque Stelle sono donne e uomini che non si intendono di politica come professione e lo rivendicano loro stessi per primi, così come si attribuiscono il merito di battersi solo ed esclusivamente per i cittadini e contro gli interessi “dei politici”, da loro tacciati come speculatori e corrotti per antonomasia. Pretendono di fare una politica di rivoluzione, ripristinando il sistema governativo, rifiutando compromessi e alleanze. Rifiutano il sistema, in una maniera non troppo dissimile da quella di Sgarbi. Al suo stesso modo, rifiutano il dialogo.
Arrogandosi, proprio come Sgarbi, il diritto di avere voce in capitolo e che questa voce sia riconosciuta come autorevole anche in merito a questioni che, di fatto, non sono di loro competenza.
Eppure per il professore questo tipo di politica di “onesti incapaci” non è tollerabile. Semplicemente, spiega in un video, funziona così:
“se un maestro di cinese è onesto ma non sa il cinese, non è un maestro di cinese, è uno stronzo”. I grillini, onesti incapaci, sono come il maestro di cinese che non sa il cinese.
Per questo ce l’ha a morte con loro — “che non sanno neanche chi è Simone Martini” — le cui scelte rappresentano “la dittatura della democrazia” e che definisce come simbolo della decadenza dell’Italia. Per questo ce l’ha a morte con Virginia Raggi, esempio del fallimento del progetto grillino.
Il video pubblicato da Il Corriere, oramai diventato virale, nel quale Vittorio Sgarbi dichiara di avere una registrazione di una telefonata con Grillo durante la quale il leader del Movimento definisce la Raggi una “depensante” e il video pubblicato poco dopo da Sgarbi stesso in cui filma una telefonata in cui Grillo lo supplica di smentire quello che ha detto è il culmine del contrastante rapporto Sgarbi-Grillini.
E’ senza dubbio un gesto, quello di Sgarbi, fine a se stesso, o meglio: in quanto gesto compiuto da un uomo di spettacolo quale egli è, è fine al suo successo.
Se sia vero o no, se Grillo si sia veramente espresso così verso la sua collega o se un’invenzione del dispettosino Sgarbi volta a recare fastidio alla “traffichina” Raggi, non si saprà mai ed è del tutto inutile saperlo.
Ciò che di fondamentale è emerso da questa faccenda è che Sgarbi ha ammesso di godere nell’essere seccante, di non poter farci niente “se lui si diverte così”. Che Sgarbi vive nella pretesa di sapere tutto e di essere considerato voce autoritaria e indiscutibile anche al di fuori della disciplina in cui è esperto. Che Grillo, nell’implorare Sgarbi di smentire, ha ammesso la fragilità della sua politica e la debolezza del suo partito, un partito a tutti gli effetti virtuale se non, addirittura, simulacrale, per il quale la circolazione nel web di una parola sbagliata può essere deleteria (o far “scoppiare un casino” come dice Grillo al telefono con Sgarbi).
Grillo ha ammesso di essere ormai dipendente dal consenso del popolo e ossessionato a mantenere intatta l’idea che si è costruito di sè, di essere disposto ad abbassare la testa, ad arrivare a gesti miseri, a fare l’impensabile, l’inutile, purché il suo personaggio mantenga il successo: proprio come Sgarbi.