Nel 1988 Sandro Schipani, allora docente di Diritto romano dell’Università di Roma Tor Vergata, comprese che la Repubblica Popolare Cinese, essendosi aperta al mercato, avrebbe avuto il bisogno di dotarsi di una normativa di diritto civile ed iniziò ad instaurare contatti, in particolare con l’Università Cinese di Scienze Politiche e Giurisprudenza (Cupl) di Pechino, con le università cinesi
Il 17 gennaio 2017 Xi Jinping, il presidente cinese, al World Economic Forum di Davos in Svizzera, affermò «we should adapt to and guide economic globalization», confermando così l’intuizione che aveva avuto il professor Schipani.
Tra i diversi fattori che permetterebbero la realizzazione di quest’intento c’è la consapevolezza di dover realizzare un codice civile cinese ( un ottimo instrumentum regni come appreso, qualche secolo fa, da Napoleone).
Schipani, sebbene si trovasse di fronte ad una nazione devastata da anni di nichilismo giuridico, riprese semplicemente da una tradizione affermatasi da molto tempo. Già dai tempi di Marco Polo, i viaggiatori che arrivavano dall’Italia generavano un forte interesse da parte dei cinesi nei confronti di Roma, del Pontefice, dell’impero e del suo diritto.
Ci furono diverse influenze, in tutto il territorio cinese, coloni di nazionalità portoghese, olandese e spagnola divulgarono un eterogenea visione della civiltà e del diritto.
Con l’inizio del XVII sec. D.C. gli insegnamenti dei missionari gesuiti permisero la diffusione di istituti di diritto canonico, come il matrimonio e la famiglia, strettamente connessi all’idea di nucleo familiare occidentale, e di parte della disciplina civile, come il consenso negli accordi e nell’adempimento delle obbligazioni. Tramite anche una forte influenza nipponica, si raggiunse l’apice del diritto romano nel periodo che va dall’inizio del 900’ fino all’instaurazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
L’insegnamento degli istituti romanistici divenne obbligatorio, e nel dicembre del 1911 venne istituita una commissione che, anche attraverso la consulenza di importanti giuristi giapponesi ed europei, avrebbe dovuto pubblicare il primo codice civile cinese. In seguito a vari anni di inattività, la Commissione nel 1925 promulgò i primi due libri del codice che però non fu mai terminato.
Con l’ascesa del partito nazionalista Guomindang nel 1928, la Cina conobbe lo sviluppo di una fervida attività giuridica; vennero emanati 6 testi legislativi: la Costituzione (1927), il codice civile (1929-1930), il codice di procedura civile (1929-1930), il codice penale (1935), il codice di procedura penale (1935) e, infine, leggi utilizzabili in materia commerciale.
Fu, ad esempio, introdotta la disciplina del negozio giuridico e la regolamentazione del contratto in generale; il codice però, risultava ancora uno strumento essenzialmente accademico e non adatto alle esigenze della popolazione e dei rapporti interpersonali.
L’avvento della Repubblica Popolare Cinese segnò una rottura con il passato, dal momento che il partito comunista cinese abrogò in toto l’impianto legislativo degli anni precedenti.
Il solo modello di ordinamento giuridico era quello staliniano.
Tuttavia su influenza di quanto avveniva in Unione sovietica, si perpetuava lo studio del diritto romano: unica apertura verso un diritto considerato straniero. Ci furono altri progetti di codice nel corso del tempo ( 1957, 1962) ma negli anni della rivoluzione culturale si assistette ad un secondo smantellamento del sistema legale che portò al periodo di nichilismo giuridico.
Arrivando al 1988, i contatti instaurati da Schipani proseguivano, e a Pechino iniziavano a comparire traduzioni del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Nel 1999, il gruppo dirigente del Partito comunista cinese stabilì la necessità di aprirsi alla globalizzazione e, di conseguenza, la necessità di un sistema di un corpo di leggi civili per regolare il sistema misto economico.
Venne presa la decisione di redigere un corpo sistematico per le principali materie riguardanti l’economia di mercato (diritti reali e diritti di obbligazione).
Conseguentemente risultava necessario scegliere quale impianto normativo adottare, Civil law o Common law? La storia e soprattutto la politica (contrapporsi al sistema statunitense) indirizzarono la scelta verso un impianto romanistico.
Qui entra in scena Oliviero Diliberto, allora ministro della Giustizia in Italia, docente di diritto romano e parlamentare comunista. Lui, insieme a Schipani, si assunse il compito di formare quella classe di giuristi cinesi esperti in diritto romano che dovranno in futuro redigere il codice.
Data la particolarità del sistema cinese, fu necessario l’apporto del diritto Romano senza i filtri dell’età moderna prodotti dalla mediazione borghese illuministica. Prendiamo come esempio eloquente il concetto giuridico di “proprietà”: Gaio, nelle Istitutiones, quando tratta la disciplina del meum esse, si riferisce esclusivamente all’appartenenza della cosa, senza intenderla nella sua odierna accezione assoluta. I termini dominium e proprietas nel linguaggio giuridico dei romani verranno solo in seguito.
Diliberto- in un suo scritto, La lunga marcia. Il diritto romano nella Repubblica Popolare Cinese- pone l’esempio della proprietà nell’accezione assoluta, presente nel nostro codice civile ed afferma
nel diritto romano in quanto tale, l’assolutezza del diritto di proprietà privata è categoria sconosciuta […] le norme sulla proprietà, promulgate in Cina nel 2007 insieme alla disciplina generale dei diritti reali , ne sono lampante dimostrazione: non è contemplata la proprietà privata come perno (una sorta di motore immobile) del sistema degli altri diritti; manca del tutto il riferimento alla sua assolutezza (tanto meno all’inviolabilità); non si pone il tema dell’unitarietà del medesimo diritto: convivono sullo stesso piano, diverse forme di proprietà, quella statale (la terra, ad esempio, ancor oggi principale mezzo di produzione in Cina, non può che essere esclusivamente dello Stato), quella collettiva (delle comunità) e infine, buona ultima, quella privata.
Si intuisce, quindi, la malleabilità degli istituti romanistici nella loro matrice originaria, come già elaborata nel corso del XIX sec. dalla pandettistica tedesca, scienza che è stata capace di estrapolare concetti giuridici slegati dalla realtà contingente del tempo. Nel 2011 quindi, il governo cinese proclamò «il sistema legale socialista con caratteristiche cinesi», mai dirigenti stessi affermarono che le leggi erano ancora un “work in progress”.
Nel marzo di quest’anno, come testimoniato da Reuters, sono state promulgate una serie di norme riguardanti la “responsabilità”considerate come il preambolo di quanto i media affermano essere la “dichiarazione dei diritti cinese”.
Stando a quanto dichiarato successivamente, il codice dovrà essere completato tra il 2020 e il 2025 . Sarà interessante capire fin dove si spingerà il governo nel tutelare i propri cittadini, soprattutto riguardo ai diritti della persona e come riuscirà ad armonizzare tale tutela con la propria spregiudicata politica di sfruttamento del lavoro.