Il Venezuela sta vivendo delle settimane dense di proteste contro il regime di Maduro, ritenuto responsabile del tracollo del paese e dell’estrema povertà in cui versano i suoi abitanti. L’altro ieri, durante una manifestazione, due manifestanti sono stati uccisi a colpi di pistola. Carlos Moreno, diciotto anni e una studentessa di ventitré. In tre settimane il bilancio è di nove morti. All’indomani della “Marcia di tutte le marce” di mercoledì 19 aprile, festa nazionale per il Venezuela in ricordo del primo passo verso l’indipendenza dalla Spagna, risuona l’appello fatto ieri da Henrique Capriles a tutti i venezuelani. «Domani alla stessa ora chiediamo a tutto il popoli di mobilitarsi» ha detto il leader dell’opposizione davanti alla stampa convocata dal tavolo dell’Unione democratica, coalizione dell’opposizione. Ventisei i luoghi della protesta a Caracas, ma nessun corteo ha raggiunto la sede di Maduro. Dagli Usa è arrivata la richiesta di indire nuove elezioni e il segretario di Stato Rex Tillerson ha messo in guardia il Difensore del popolo dal “violare la sua stessa Costituzione”.
I cittadini non possono organizzarsi, non sono liberi di esprimere il loro punto di vista nei confronti di un dittatore che accusa il presidente del Parlamento Julio Borges e gli stessi Usa di aver dato il via libera al colpo di stato contro di lui.
Ma erano così necessari gli Stati Uniti per animare le proteste dei cittadini venezuelani? Non basterebbero le condizioni vergognose in cui si trovano gli ospedali del paese senza antibiotici, strumenti sterili, macchinari funzionanti, letti, disinfettanti, tanto che alcune operazioni vengono fatte in sale operatorie ancora sporche del sangue del paziente precedente?
Non solo la sanità, ma tutti i beni di prima necessità e i servizi minimi mancano in Venzuela: elettricità, acqua, lavoro, sicurezza. Dal 2013, anno in cui Maduro ha iniziato a guidare il paese, il Venezuela vive una grave recessione in cui nulla sembra funzionare. Non ci sono soldi nemmeno per stampare i soldi, la criminalità è alle stelle e i dipendenti pubblici lavorano solo due ore al giorno per mancanza di elettricità. Maduro ha sempre gridato alla stampa e all’opinione pubblica infamanti nei confronti del suo operato, benedetto da Dio e Chàvez, che lo designò come suo erede in punto di morte, nel marzo 2013. Si capisce quanto pesi sulla rabbia dei cittadini il totale disinteresse nell’incolpare la propaganda negativa, senza che per questo la situazione migliori di una virgola. Molti giovani soprattutto sono stufi di quella che nei fatti è una dittatura e criticano Maduro anche attraverso canzoni e rime.
La presidenza di Maduro non è iniziata sotto i migliori auspici, già carica degli errori del suo predecessore. I problemi più grossi erano legati alla mancanza di beni come latte, farina, zucchero e caffè: in quel periodo l’indice di scarsità era al 21%, cioè su cento beni considerati di prima necessità, ventuno erano difficili da reperire. Celebre è la storia della carta igienica di produzione nazionale, diventata praticamente introvabile. Nel frattempo avevano cominciato a circolare alcune fotografie che ritraevano le code fatte per fare scorta delle ultime rimanenze. L’allora ministro del Commercio venezuelano, Alejandro Fleming, attribuiva la mancanza di carta igienica «a una domanda eccessiva dovuta a una campagna mediatica per destabilizzare il paese».
Questa storia, simile ad altre, dà la cifra della situazione paradossale, arrivata ora ad un punto di saturazione, in cui vivono i cittadini venezuelani: i problemi ci sono e sono evidenti, ma non solo non vengono risolti, vengono negati e “narrati” in maniera distorta. I giorni che sta vivendo il Paese e quelli di là da venire ci diranno se qualcosa, finalmente, cambierà.