La Terra è piena di posti meravigliosi: la natura spesso è in grado di formare nei secoli paesaggi suggestivi e unici nel globo e tanto stupendi quanto a volte misteriosi: la foresta Jukai, o mare d’alberi, più nota come la foresta di Aokigahara in Giappone rientra in tutto e per tutto in questa categoria di posti tanto belli quanto enigmatici, tanto che è ormai entrata nell’immaginario comune anche fuori dalla terra del Sol Levante.
Questa foresta ha origini antichissime: il terreno su cui si stende (oltre trentacinque chilomentri quadrati) altro non è che il risultato di una violenta eruzione vulcanica del monte Fuji nel 864 d.c. che diede luogo a un terreno cavernoso e particolarmente adatto a una fitta vegetazione. La foresta è così densa di alberi da fermare il vento, il che rende il posto molto silenzioso. La quasi totale mancanza di rumore è data anche dal fatto che la fauna è estremamente rarefatta e non sono in molti ad avventurarsi per i difficoltosi sentieri. Al tempo stesso, molti avventurieri la designano come meta per un’avventura estrema: i sentieri sono poco battuti e il modo più semplice per non perdersi è quello vecchia scuola del filo da lasciarsi alle spalle oppure segnare gli alberi, con buona pace dei rangers giapponesi che avrebbero vietato tale pratica.
Ovviamente i telefoni non prendono e non sarebbe la prima volta che qualcuno si perde esplorandola.
Aokigahara è anche tristemente nota per i numerosi decessi e suicidi avvenuti. Molti dicono sia davvero una porta per l’altro mondo e non è solo folklore ma anche storia: già nel quindicesimo secolo ci sono testimonianze di molti uomini, spesso membri anziani delle famiglie, che per non gravare economicamente sui parenti si addentravano nel bosco senza fare mai più ritorno. Da allora la foresta assunse un connotato di sacralità: molti credevano nella presenza di spiriti Kodama, cioè gli spiriti degli alberi capaci di riprodurre voci umane in particolare delle persone decedute, e per evitare di offendere tali spiriti gli arbusti che crescevano sui sentieri non venivano toccati, rendendo però l’accesso e le vie del bosco ancora più difficili. Altri miti invece raccontano di spiriti Juboko, malvagie entità che si nutrirebbero delle anime dei passanti per conservare gli alberi dove dimorano sempre verdi e forti. Con la modernizzazione del Giappone molte di queste credenze vennero abbandonate quindi la foresta perse un po’ della sua sacralità, ma non svanì mai quell’aura di mistero che ancora oggi aleggia sul mare di alberi.
Strana e triste la tendenza che intorno agli anni ’50 si verificò proprio ad Aokigahara durante una pesante depressione economica: si stima che in quel decennio una media annuale di trenta uomini sia entrata nella foresta senza mai uscirne e la maggior parte erano uomini d’affari. È una statistica che non si è abbassata fino a oggi e solo negli ultimi anni i responsabili del sito forestale hanno secretato il numero di decessi confermati a Jukai tentando di non danneggiare l’immagine della foresta che segue il Golden State Bridge come posto al mondo dove sono più frequenti i suicidi. Per cercare di limitare il fenomeno, alle varie entrate della foresta sono stati posti numerosi cartelli che cercano di dissuadere le persone che si addentrano per morire scritti sia in Giapponese che in Inglese. Dal 1970 si è istituito uno speciale corpo di sorveglianza per la ricerca di uomini composta da volontari addestrati dal corpo forestale, poliziotti e giornalisti che nei fatti si ritrovano più spesso a dover recuperare i cadaveri dei disperati e riconoscerne l’identità. Il maggior numero di salvataggi avviene a Marzo che corrisponde alla fine dell’anno fiscale giapponese e periodo in cui queste ronde intensificano le ricerche. Nonostante ciò i numeri negli anni Duemila stanno drammaticamente aumentando, toccando un massimo nel 2010 con oltre 250 tentati suicidi.
Spiritisti, sociologi e para scienziati cercano di spiegare l’attrazione che esercita quella foresta verso le persone più fragili e sembra che il motivo per cui ad Aokigahara attiri tanti aspiranti suicidi sia antropologico e culturale. Alcuni studiosi infatti sostengono che la foresta richiami alla pace primordiale, a un’esistenza libera dai vincoli sociali che in un certo modo è legata alla morte.