Del: 3 Maggio 2017 Di: Letizia Gianfranceschi Commenti: 0

Lo scorso 20 aprile è stato un giorno di festa nel Sudovest e nel Nordovest del Camerun, le due uniche regioni anglofone in un paese a maggioranza francofona. Non era il giorno dell’Unificazione, celebrato il 1 ottobre, e mancava ancora un mese al National Day, che ogni anno il 20 maggio ricorda ai camerunensi il referendum con il quale nel 1972 abbandonarono il federalismo. Ma per tutti il ritorno della connessione internet dopo tre mesi di blackout è stato un buon motivo per dare avvio ai festeggiamenti trai i giovani di Buea, capoluogo della regione del Sudovest.

Nati e cresciuti ai piedi del monte Camerun, denominato dai nativi “montagna della grandezza”, questi giovani sanno che con una buona idea, un computer e una connessione internet possono conquistare il mondo. Non a caso, da tempo ormai, tutti la chiamano “Silicon Mountain”. Qui, infatti, hanno sede le principali aziende di alta tecnologia del paese e in media ogni mese nascono 5 nuove start up. Ce ne sono di tutti i tipi. Alcune forniscono servizi di consulenza e sviluppo di software, altre sono agenzie di marketing agricolo che mettono in contatto coltivatori locali e consumatori. Ci sono anche piattaforme informatiche per la ricerca di lavoro in tutta l’Africa, e altre che ricercano attività commerciali in diverse città del Camerun.

Per questo quando lo scorso 17 gennaio il presidente Paul Biya, in carica dai memorabili anni Ottanta, ha ordinato alla compagnia Orange Cameroun la sospensione della connessione internet nelle regioni anglofone, per la gente del posto è stato un duro colpo. La sospensione della libertà di internet ha danneggiato innanzitutto le imprese che hanno scelto il Sudovest ed il Nordovest come loro quartier generale. Senza una connessione a disposizione, poche hanno potuto continuare a fornire i propri servizi. Anche l’attività delle banche ha subito rallentamenti, con i trasferimenti finanziari che non potevano essere effettuati.

La decisione era stata presa in seguito a una lunga serie di proteste cominciate a novembre. I primi a scendere in piazza sono stati gli avvocati di Bamenda, la terza città più grande del Camerun nonché capoluogo della regione Nordovest, contrari all’imposizione delle corti francesi in una regione dove finora il diritto è stato tradizionalmente improntato al modello dei sistemi giuridici di common law, di stampo tipicamente anglosassone.

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Poi è stata la volta degli insegnanti, che al governo hanno contestato l’assunzione di personale francofono nelle scuole locali. La tensione è salita nel mese di dicembre, quando alcuni manifestanti sono stati uccisi dagli agenti di polizia. La minoranza anglofona, circa il 20 % della popolazione camerunense, da tempo accusa Yaoundé di voler attuare una vera e propria “francofonizzazione”. Lingua è potere, dopo tutto: le battaglie linguistiche sono combattute per l’identità, contribuiscono alla definizione degli equilibri politici, hanno un impatto sulla convivenza e sulla sua riuscita. Non si tratta, per altro, di un caso isolato, basta pensare ai tentativi di russificazione, che hanno costituito solo una parte di una più ampia strategia di recupero dell’egemonia perduta dalla Russia nei territori del suo “estero vicino”.

Anche nel caso del Camerun, dietro la questione linguistica si cela una lotta politica di vecchia data: quella contro la disuguaglianza, la marginalizzazione e lo sfruttamento degli anglofoni.

Sospendendo internet, il governo ha voluto mettere a tacere le proteste delle comunità anglofone, che nei mesi scorsi sono scese in piazza per esprimere il proprio dissenso contro l’esclusione che caratterizza la loro esistenza nella società camerunense. La diversità geologica e culturale è valsa a questo paese l’appellativo di “Africa in miniatura”.

Del continente però, il Camerun riflette anche la complessità, i conflitti, le eredità storiche difficili da superare. Erano gli anni Sessanta quando qualcuno sognò un Camerun bilingue. Deve essere successo una notte dopo la fine della stagione delle piogge. Nel 1961, le élite politiche di due territori con diverse eredità coloniali – una francese, l’altra britannica – decisero di formare uno Stato federale. Con un referendum organizzato sotto l’egida delle Nazioni Unite, gli abitanti del Sudovest e del Nordovest si espressero in favore dell’unificazione con il Camerun francese. Speravano nella realizzazione di una federazione bilingue e biculturale, nella quale anglofoni e francofoni avrebbero potuto vivere in armonia.

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Agli anglofoni del Camerun non piace osservare le cerimonie che ogni anno si svolgono il 20 maggio. Anche se i loro connazionali francofoni si ostinano a chiamarlo «il giorno della gloriosa rivoluzione», gli anglofoni lo hanno tristemente rinominato «il giorno del lutto». Ricorda loro il fallimento del sogno federalista, naufragato miseramente nel 1972, quando il presidente Ahmadou Ahidjo promosse un referendum che stabilì la nascita di uno Stato unitario fortemente centralizzato. Da allora gli anglofoni, divenuti una minoranza dotata di scarso potere negoziale, hanno sofferto ingiustizie in ambito politico, economico e culturale.

Nessun anglofono ha mai occupato il ruolo di ministro della difesa, né quello della sicurezza nazionale o delle finanze, né tanto meno quello di Segretario generale, la carica politica più alta dopo quella di presidente della repubblica. Neanche nella burocrazia e nell’esercito c’è stato spazio per gli anglofoni e nessuna corporation di grande rilievo è guidata da qualcuno di loro. A questo si aggiunge lo sfruttamento delle loro terre, sistematicamente sottoposte a pratiche sregolate di estrazione del petrolio. Tutto questo ha alimentato tra gli anglofoni la sensazione di essere ri-colonizzati e ridotti a cittadini di seconda classe. In questo clima si è tornato a parlare di secessione, opzione che in passato era presa in considerazione solo dalle comunità più radicali ma che ultimamente sembra essersi diffusa anche negli ambienti più moderati.

La decisione di bloccare internet è stata solo l’ultima di una delle tante vessazioni che gli anglofoni hanno dovuto sopportare in pochi decenni di Camerun unito, e di certo non è stata di poco conto, visto che ha comportato la violazione delle libertà di espressione, associazione, di stampa, il diritto all’informazione e le libertà economiche, ed è stata seguita dall’arresto di avvocati e giornalisti. Anche se hanno festeggiato, il ritorno di internet non basta agli anglofoni: sanno che la strada dei diritti è ancora lunga nella loro Africa in miniatura.

Letizia Gianfranceschi
Studentessa di Relazioni Internazionali. Il mondo mi incuriosisce. Mi interesso di diritti. Amo la letteratura, le lingue straniere e il tè.

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