Del: 25 Maggio 2017 Di: Susanna Causarano Commenti: 0

Finanza e comicità vanno insieme? Perché no. In Giuseppe Sapienza, nato a Domodossola trentasei anni fa ma milanese d’adozione, fondatore con Luca Ravenna del Milano Comedy Club che ha portato alla realizzazione di ben dieci serate di Stand Up Comedy al teatro Franco Parenti (stasera la decima e ultima) e svariate allo Sloan Square di Milano, le due anime si ispirano a vicenda. Discendente della prima sindacalista italiana, Maria Giudice, e della scrittrice Goliarda Sapienza (di cui non ama troppo la penna) preferisce evitare caselle ed etichette. Curiosità: dalla parte materna ha preso anche il nome d’arte, sostituendo al vero cognome quello della mamma, Sapienza.

 

 

Cos’è e com’è nata Stand Up Comedy?

Parto col definire la stand up comedy in generale. In modo brutale, significa che c’è un comico che sale sul palco e senza travestimenti cerca di far ridere il pubblico. È legata ai vecchi comedy club, con tutta la struttura del Master of Ceremonies che carica il pubblico e crea lo spazio fra un comico e l’altro. Chi fa stand up comedy si rifà alla tradizione americana, che non significa necessariamente essere politicamente scorretti, volgari. La volgarità non è molto divertente a parer mio. Infatti nella nostra Stand Up Comedy, prediligiamo forme più acute di ironia. La “nostra” stand up nasce dalla conoscenza e amicizia tra me, Luca Ravenna (comico e sceneggiatore, ndr), Edoardo Ferrario e tanti altri, alcuni protagonisti del programma Natural Born Comedians su Comedy Central di Sky. I posti dove la portiamo a Milano sono il Teatro Franco Parenti e il locale Sloan Square.

Torniamo al dito puntato contro la volgarità. Lei e i tormentoni hanno caratterizzato e caratterizzano certi programmi comici nostrani?

Il cabaret tradizionale è piuttosto saturo ed è diventato un meccanismo fatto di tormentoni, parrucche. È una forma di comicità che può avere la sua utilità, ma rischia di diventare stucchevole. Sempre secondo il mio modesto parere.

Parenti e Sloan Square: come va il vostro progetto di SUC?

Non girano tanti soldi ma siamo mossi da passione e siamo un bel gruppetto, le serate vengono organizzate anche in altre città. Abbiamo cominciato allo Zelig, ma alla lunga soffri di stare in un meccanismo difficile. Il  nostro è uno stile più anglosassone e americano. Siamo grandi fan di Luttazzi, per dirti un modello. Poco tormentone, pochi giochi di parole.

Nell’era della battuta costante, di facile individuazione sui social e siti specializzati, che significa elaborarne una?

Le battute sono diventate una specie di commodity. Siamo bombardati dalle battute, pensa a YouTube, Lercio, Spinoza. Sono tutti meccanismi facilmente superabili. Sul palco piacciono le battute legate al comico che le fa, al suo modo di vedere il mondo.

Se uno pensa di fare solo battute prese dal web mi irrita, da pubblico vorrei delle novità, il punto di vista comico di chi sto ascoltando. Il racconto personale è apprezzato. Stefano Rapone per esempio, volto noto anche su Sky, fa battute singole e molto originali dette con tono dimesso. Non so se riesco a rendere l’idea ma coincide molto con il mio tipo di umorismo.

C’è una certa omogeneità a Stand Up Comedy?

Ci sono quelli che cercano di raccontare una storia ampia, chi molto stringata, chi ampissima e chi preferisce puntare sulle battute singole come me e Stefano.

C’è un momento di brainstorming tra di voi o ognuno fa per sé?

Alla fin della fiera sul palco sei tu. È una situazione solitaria. C’è sicuramente uno scambio tra amici, ma sei tu con le tue parole e il tuo pubblico.

Come si inizia a fare i comici?

Certamente prendendo coraggio e andando a provare i pezzi agli Open Mic. Il comico vive più del rapporto col pubblico che del rapporto tra comici. Ti confronti coi colleghi, ma io credo sia un passo successivo. L’open mic ti da’ il polso di quanto fai ridere. Hai presente Chris Rock? Lui ha provato un open mic una delle ultime volte che doveva fare un suo pezzo. Lascia stare la pletora di guardie, sala blindata, pubblico selezionato e tutto il corollario. Nessuno scampa a questa specie di antegenerale. Nemmeno Louis C. K.

Cos’è la comicità?

Fondamentalmente è una questione di ritmo, di avere i cosiddetti tempi comici. Il comico sa più o meno quando il pubblico riderà. Se devo parlare per me, è parte della mia natura, viene dalla mia famiglia ironica e dalla mia passione per Mark Twain, scrittore ma anche anti scrittore che indicava in apertura di Huckberry Finn: «Chiunque voglia trovare una morale a questa storia sbaglia di grosso».

Susanna Causarano
Osservo ma non sono sempre certa di quello che vedo e tento invano di ammazzare il tempo. Ma quello resta dov'è.

Commenta