Del: 27 Luglio 2017 Di: Redazione Commenti: 0

Mattia Albano

Sono passati ormai più di 4 mesi dalla nascita di Campo Progressista (11 marzo 2017). Eppure, il movimento che fa capo all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, sembra essere riuscito a fare tutto, meno che raggiungere lo scopo per cui era nato. Ovvero unire la sinistra. Anzi, per certi aspetti, è possibile affermare che, paradossalmente, questo soggetto politico abbia giocato, e giochi tuttora, un ruolo divisivo ed ostativo per qualsiasi ipotesi di ricostruzione della sinistra e, più in generale, del centrosinistra (ammesso che questi due termini, da soli, vogliano ancora dire qualcosa). Favorito da una forte spinta mediatica, Pisapia è stato, in un primo momento, visto da molti come la figura capace di rimescolare le carte nella sinistra. Una personalità in grado, cioè, da un lato, di ridare vigore e linfa vitale a tutta quella tradizione politica ex pc- dentro e fuori il Pd- e, dall’altro, di mettere in piedi un’alleanza con il partito di Renzi, per ricostruire il centrosinistra ed arginare l’avanzata delle destre. Col passare delle settimane e dei mesi però, questa proposta ha via via perso sempre più consenso.

Critiche, infatti, sono state avanzate non solo dalla componente radicale di Sinistra italiana e dal movimento Possibile di Pippo Civati, ma anche dagli stessi dirigenti, o quanto meno da una parte di essi, di Articolo Uno-Mdp.

Emblematico, per fare un esempio molto recente, l’annullamento dell’incontro, in programma il 25 luglio, tra alcuni esponenti di spicco di Articolo Uno e lo stesso ex sindaco di Milano. Incontro annullato in seguito alle perplessità, espresse dagli scissionisti del Pd, rispetto all’abbraccio di Pisapia con la Boschi durante una festa dell’Unità- per la forte valenza simbolica del gesto- e relativamente alle stesse dichiarazioni di Giuliano durante la festa in questione. In quell’occasione l’ex sindaco, lo ricordiamo, tra le altre cose, ha detto testualmente: “Qui mi sento a casa mia”. Alludendo, con l’espressione “casa mia”, al mondo dei “dem”. Questo a dimostrazione del fatto che, anche in quella parte della sinistra più simpatizzante verso l’ex sindaco di Milano, si comincia a dubitare sulla validità e sull’efficacia della piattaforma lanciata dall’ex deputato di Rifondazione Comunista. Tutti ricorderanno infatti le parole di apprezzamento pronunciate durante la manifestazione in Piazza Santi Apostoli a Roma, da un larga fetta della dirigenza di Articolo Uno nei confronti di Giuliano. Parole di apprezzamento che, in alcuni casi, si spinsero anche oltre il ragionevole, arrivando addirittura ad ipotizzare l’attribuzione, per acclamazione e senza un processo democratico e partecipato dal basso, del ruolo di leadership all’ex sindaco di Milano. Sembra passato un secolo da quell’evento, in realtà neanche un mese è trascorso da quel fatidico primo luglio. Nonostante il così breve lasso di tempo intercorso da quella data, si inizia ad intravedere un percorso radicalmente diverso da quello pensato e tracciato dal leader di Campo Progressista in quell’occasione. Infatti, al netto della volontà dei singoli protagonisti della vicenda, i quali in queste ore si affrettano a rettificare e a correggere il tiro pur di ridare una possibilità alle istanze di quella Piazza, esiste un principio- nelle scienze politiche, diremmo “eterogenesi dei fini” mentre, nel linguaggio comune, “forza delle cose e degli eventi”, che, inevitabilmente, spingerà Mdp ad un’alleanza  organica con SI, Possibile ed “Alleanza per la democrazia e l’uguaglianza”- il movimento di Falcone e Montanari, riunitosi il 18 giugno scorso al Teatro Brancaccio di Roma-. Questo principio è dettato dal contesto attuale che, necessariamente, piaccia o meno, determina e determinerà il prossimo futuro politico. Questo, ovviamente, fatto salvo imprevisti (imprevisti che però, al momento, non sono all’ordine del giorno).

Le ragioni che impediscono matematicamente la ricostruzione, nel breve periodo, di una vasta alleanza di centrosinistra sono diverse.

In primo luogo, troviamo sicuramente il segno politico delle riforme- o forse bisognerebbe chiamarle controriforme- economiche e sociali del governo Renzi. Dal “Jobs Act” alla “Buona Scuola” infatti, le politiche degli ultimi anni, si sono rivelate essere molto negative, e contrarie, agli interessi di una larga fetta dei lavoratori dipendenti privati- “Jobs Act”- e di un pezzo del corpo docente scolastico- “Buona Scuola”-. Questo, naturalmente, ha determinato una frattura sociale che, in poco tempo, si è riversata anche nel quadro politico-istituzionale provocando, all’interno del Pd, forti tensioni e lacerazioni, oggi sotto gli occhi di tutti in seguito all’ultima scissione. La seconda ragione, può essere invece individuata nella risposta politica della sinistra, al cambio repentino valoriale del Pd, in seguito all’affermazione di Renzi come leader. E qui, sia la sinistra radicale- gli ex Sel per essere chiari- che quella riformista- la minoranza Pd- hanno dimostrato tutta la loro incapacità di reagire ad uno scenario in evoluzione. I lettori di questo articolo, adesso, si staranno sicuramente chiedendo cosa c’entri la risposta di allora, della sinistra, con l’impossibilità odierna di mettere in campo una coalizione vincente di centrosinistra. In realtà, anche se, ad un primo sguardo, i due discorsi possono apparire completamente slegati l’uno dall’altro, sono molto più correlati di quanto si possa immaginare. Poiché, se la scissione fosse avvenuta completamente in quel periodo (fine 2014, inizio 2015) e i parlamentari di Sel avessero fatto un’opposizione più combattiva, tutti i lavori di costruzione di un soggetto politico a sinistra, si sarebbero potuti svolgere in quel momento e, cavalcando, da un lato, il malcontento per le riforme reazionarie del governo di allora prima citate e, dall’altro, l’onda Tsipras, quel soggetto avrebbe veramente potuto spiccare il volo ed avere una base di consenso molto elevata (i sondaggi di allora, stimavano il potenziale di questa forza intorno al 15%). Con questi rapporti di forza mutati, oggi sarebbe stato possibile cercare un’intesa con il Pd per un’alleanza di centrosinistra, in cui la sinistra avrebbe davvero potuto giocare un ruolo egemone.

Bisognava cioè fare- da sinistra, nel centrosinistra- quello che la Lega ha fatto- da destra, nel centrodestra-.  Tentare invece un dialogo con i “democratici” in questa situazione, partendo cioè da una forza così residuale e da un potere contrattuale così basso, non servirà né a far vincere il centrosinistra, né a rafforzare la sinistra.

Infine vi è un’altra motivazione, più politico-istituzionale e meno contenutistica, che imporrà una convergenza tra la sinistra riformista di Articolo 1, e quella radicale di SI, Possibile, ecc. Ovvero, la questione della legge elettorale. Infatti, complice sia l’esito referendario del 4 dicembre che, soprattutto, la sentenza della Corte Costituzionale del 25 giugno di quest’anno– sentenza che ha, lo ricordiamo per i meno appassionati dei meccanismi elettorali, abrogato il “cuore” dell’Italicum, ovvero il ballottaggio- si va verso un sistema di impianto proporzionale che, com’è facilmente intuibile, favorisce (e favorirà) la frammentazione, valorizzando la componente identitaria delle varie formazioni politiche. Anche ipotizzando una modifica in senso maggioritario dell’attuale sistema, rimarrebbero comunque gli altri ostacoli prima evocati.

Insomma, Pisapia è sicuramente una personalità di grande valore, con delle qualità umane e politiche fuori discussione. È stato un bravo sindaco di Milano, ha governato bene la capitale economica peninsulare, ha unito tutte le anime della sinistra e del centrosinistra, facendo un vero e proprio capolavoro politico. Ma il contesto, oggi, è completamente mutato. Sia dal punto di vista della dimensione- allora cittadina, ora nazionale- sia da quello temporale- il quadro politico di allora, era profondamente diverso da quello odierno-. Il Pd, per esempio, manteneva ancora un’anima legata, almeno in parte, ai valori originari del socialismo. Oggi invece, nel bene e nel male, questo non è più vero. Non fraintendano i lettori di questo articolo, chi scrive sa perfettamente che l’anima ex comunista e quella ex democristiana della sinistra, un giorno dovranno comunque tornare a parlarsi. L’autore di questo articolo sa anche che, in quel momento, Giuliano Pisapia ed il suo progetto di un largo Campo Progressista, potranno davvero giocare un ruolo da pontiere di grande importanza ed utilità. Semplicemente, secondo l’opinione di chi vi parla, quel momento, non è oggi.

 

 

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