L’obiettivo dell’associazione nascente Diritti verso il Futuro non è né sensibilizzare, né criticare ma solo “mostrare”. In questo caso, mostrare le condizioni in cui vivono quotidianamente i detenuti attraverso una fedele ricostruzione di una cella del carcere di San Vittore, collocata nella sede di via Festa del Perdono della Statale di Milano. Da martedì 19 fino a venerdì 22 settembre, cioè oggi, studenti e non hanno potuto usufruire di questa iniziativa –la prima per la neonata associazione– entrando per un tempo simbolico di cinque minuti nello spazio carcerario, in gruppi di 5 persone divise in base al genere.
Prima di accedere alla cella è obbligatorio spogliarsi di tutti i propri averi. In primis cellulari e zaini, ma anche bracciali e orologi, per ricevere in cambio un anonimo numero di matricola. Questo per far sperimentare, anche se per poco tempo, il senso di spersonalizzazione a cui vanno incontro i carcerati.
Dopo essere stati perquisiti, la porta viene chiusa alle spalle dei fruitori, lasciandoli in un luogo con meno di quattro metri quadrati calpestabili per persona– cioè che si possano effettivamente calpestare, escludendo quindi dal calcolo lo spazio dedicato ai letti e ai servizi igienici– imposti dal parlamento di Strasburgo in seguito alla sentenza Torreggiani del 2014. Questo parametro, come segnalato l’8 settembre dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, è stato in effetti ripetutamente violato a causa dell’elevato numero di detenuti presenti in varie carceri italiani, tra i quali anche San Vittore. Il 7 settembre, infatti, si è verificato uno sciopero nel carcere meneghino che vedeva stipati 11 detenuti in una singola cella di 35 mq e che, ad oggi, registra 436 detenuti in più rispetto a quanti sia in grado di accogliere.
Per comprendere a pieno l’esperienza del carcere, all’interno della cella ricostruita si possono notare vecchi giornali e riviste, ma soprattutto una lista dei generi alimentari e altri beni di consumo con i relativi prezzi, lista però proveniente dal carcere di Bollate.
Giulia Galimberti, membro di Diritti verso il Futuro, spiega che l’iniziativa non si basa sul rifiuto del sistema carcerario in sé, ma solo sul (mancato) rispetto del senso rieducativo che esso dovrebbe realizzare, come è infatti sancito dall’articolo 27 della Costituzione italiana. Quest’ultimo comprende anche il rifiuto di trattamenti contrari al senso di umanità, come espresso anche dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Un articolo che dal 2013, stando alla sentenza Torreggiani riguardo al sovraffollamento delle carceri, è stato violato proprio dall’Italia.
Nel marzo del 2017 era però emerso un dato positivo dal rapporto Space, che ogni anno descrive la situazione del sistema penitenziario dei paesi europei: si registrava infatti un calo del 17,8% della popolazione carceraria. Il merito era stato attribuito ai decreti legge introdotti in seguito alla condanna di Strasburgo, tra i quali la criticata “liberazione anticipata speciale”, che consiste nella riduzione di 75 giorni di pena al semestre. L’8 settembre 2017, tuttavia, i dati sulla popolazione carceraria sono risaliti di 1.908 detenuti, tornando ad allarmare sia il Governo che il Consiglio d’Europa.
Alla luce di questi ultimi numeri, dunque, quello di marzo potrebbe essere giudicato semplicemente come un dato fisiologico, rivelando l’assenza di una soluzione sistematica. E le misure da attuare non dovrebbero, pertanto, essere rivolte alla sola diminuzione della popolazione carceraria – la quale, ovviamente, varia a seconda dei reati che vengono scoperti – ma piuttosto verso la stipulazione di un piano per la costruzione o risanamento delle strutture.