Riccardo Cattaneo
Le proposte per la nuova Unione Europea del presidente francese Emmanuel Macron arrivano a seguito della sconfitta (solo parziale) dei movimenti populisti e delle vittorie di Brexit e Trump che hanno creato non poche incertezze sul futuro economico e politico dei propri paesi. Le condizioni in cui questi si trovano, potrebbero offrire terreno fertile al rilancio del progetto di integrazione europea.
Il 26 settembre Macron ha tenuto un discorso sull’Unione Europea alla Sorbona.
«Noi non possiamo far avanzare l’Europa malgrado il popolo. Abbiamo forzato la mano, e siamo entrati in una glaciazione».
Con questa affermazione Macron ha sottolineato la necessità di una democratizzazione dell’Unione. La critica secondo cui l’UE è poco democratica è ben radicata e non fa che allontanare l’Europa dai cittadini. Ne aveva parlato pochi giorni prima anche Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione. Non basta il metodo dello spitzenkandidaten usato nel 2014 per l’elezione dello stesso Juncker, che prevede che sia eletto presidente della Commissione il leader del partito che prende più voti alle elezioni del Parlamento europeo. Macron ha proposto una prima soluzione a questo deficit democratico: la creazione, già a partire dalle prossime elezioni europee (2019), di liste sovranazionali alle quali destinare inizialmente i seggi lasciati liberi dal Regno Unito e, successivamente (dal 2024), metà dei seggi dell’Europarlamento. Altre opzioni riguardano la riduzione del numero dei membri della Commissione, con la Francia disposta a rinunciare ad un proprio componente, la creazione di un bilancio per l’Eurozona e di un Ministro europeo dell’economia (sostanzialmente una fusione tra il commissario preposto alla materia e il presidente dell’Ecofin).
Il progetto di Macron prevede anche l’introduzione di una web tax contro i colossi dell’informatica e di una tassa sulle transazioni finanziarie per ottenere risorse da investire nel campo dell’ecologia, dell’istruzione e in materia di aiuti allo sviluppo (terribilmente ridottosi durante la Grande Recessione).
Sicuramente uno dei punti più interessanti e, in assenza di dettagli, controversi del programma politico europeista di Macron, è quello relativo alla difesa e alla sicurezza comune. Il presidente francese propone l’apertura delle forze armate nazionali a volontari stranieri, la creazione di una forza d’intervento, una politica estera e di sicurezza e un bilancio comuni.
Qui emerge la debolezza del discorso di Macron, la cui vaghezza mina le fondamenta dell’intero progetto.
In realtà, le forze d’intervento già esistono: si tratta delle Forze di Reazione Rapida , create con i consigli europei di Colonia ed Helsinki (1999) dopo le brucianti prestazioni in Jugoslavia e Kosovo, che contano un massimo di 300.000 uomini, e i Battlegroups permanenti, unità militari formate da una coalizione composta a rotazione tra gli Stati membri che cambia ogni 6 mesi e che devono essere sempre mobilitati in caso di rapida necessità. Pur essendo tutte previste dal trattato di Nizza, nessuna di queste forze d’intervento è mai stata utilizzata. Quando ce n’è stato bisogno, infatti, e cioè quando l’Unione aveva deciso di mandare truppe in Sudan, il Regno Unito, che era in quel momento uno dei membri a dover mettere a disposizione i propri soldati, non volle impegnarsi su un doppio fronte, in quanto già presente in Iraq.
Inoltre, l’Unione ha già, sulla carta, una sua strategia globale per una politica estera e di sicurezza, proposta dall’Alto Rappresentante Mogherini e basata sulla teoria del pragmatismo basato in principi .
Manca, invece, un bilancio stricto sensu in materia di operazioni militari, ma esiste il Meccanismo Athena che, anche se di natura intergovernativa, si occupa del quasi totale finanziamento dei costi comuni delle operazioni civili e militari messe in moto dall’Unione. Quello che manca, in materia di politica estera, è sicuramente un ampliamento dello spettro di utilizzo del voto a maggioranza che rappresenta la maggior causa di paralisi dell’Unione, nonostante i piccoli passi avanti fatti con i trattati di Amsterdam e Nizza, che hanno aggiunto un po’ di flessibilità in materia-
In relazione alla grande crisi migratoria che tanto ha favorito le compagini populiste, il Presidente francese propone la creazione di una polizia di frontiera europea e un’agenzia unica per lo smaltimento delle richieste d’asilo, in modo da superare definitivamente le disposizioni del trattato di Dublino che scarica tutto il peso sul Paese di arrivo dei migranti (specialmente Italia e Grecia). Si prevede anche la creazione di una sorta di FBI europea per una lotta comune contro la criminalità organizzata e il terrorismo.
Un altro tema che interessa il dibattito europeista in questi giorni, e che dimostra come sulla sconfitta dei populismi sia meglio non farsi troppe illusioni, è il ritorno al Bundestag di un partito di estrema destra, forte del 13% dei consensi ottenuti. Nel frattempo in Italia le elezioni sono dietro l’angolo e Movimento 5 Stelle e Lega Nord conquistano, sommate, oltre il 40% dei consensi negli ultimi sondaggi. In questo contesto, mentre Angela Merkel pensa ad una probabile coalizione Giamaica (con Verdi e Liberali), qualsiasi proposta di avanzamento sul fronte dell’integrazione europea sembra in pericolo. Inutile però lanciarsi in ipotesi che potrebbero rivelarsi troppo affrettate. Dopo tutto, un progetto di rifondazione così profondo richiede anni, un periodo che supera la durata degli attuali mandati presidenziali e parlamentari.
Macron non chiude nemmeno le porte ad un possibile futuro ritorno del Regno Unito e ritiene che a Londra potrebbe sembrare appetibile la sua Unione «più semplice e meno burocratica». Rimane però convinto che, in continuità con il passato, sia l’asse franco-tedesco a dover promuovere tali migliorie. Non c’è spazio per i dettagli su come implementarle concretamente. Non basta per capire se il progetto europeo di Macron è davvero valido.