È diventato giornalista perché alle corse podistiche della scuola arrivava sempre per ultimo. Meglio raccontarle che farsi umiliare, deve aver pensato. Non è diventato giornalista per le ambizioni e neanche per cercare un riscatto con i soldi, anche se da uno che proveniva da una famiglia modesta ce lo si poteva aspettare. Lo ha fatto per crearsi un’identità, che ha mantenuto finché la malattia non ha convinto Anam, il senzanome (come lui stesso si fa chiamare nell’ultimo viaggio in India), che, a pensarci bene, sarebbe stato meglio non essere nessuno. Nessuno un nome però ce l’aveva: Tiziano Terzani, che oggi 14 settembre avrebbe compiuto 79 anni, nella sua vita è stato molte cose.
Giornalista, viaggiatore e scrittore. Un fiorentino “molto fiorentino e quindi molto razionale”, come ricorda spesso sua moglie. Un uomo di sinistra e del suo tempo con una straordinaria passione per il mondo. Più di Firenze, che pure tanto lo aveva affascinato quando era ancora “bella e povera” e forse proprio perché era così, molto prima che diventasse una triste “bottegaia del turismo”, Terzani amava il mondo. Per qualcuno prima o poi sarebbe diventato esploratore. Ci è andato vicino. Da giovane fuori dal comune, con una buona dose di coraggio (o incoscienza?) che gli ha permesso di rifiutare un posto in banca offertogli appena diplomato, è diventato ben presto un giornalista fuori dal comune. Nel mezzo, una parentesi durata cinque anni come manager della Olivetti. Sono gli anni Settanta, un’epoca nella quale un giovane appena laureato come lui, che viene da una famiglia povera e che vuole impegnarsi socialmente aveva “la scelta tra l’Olivetti e il Partito comunista”.
Più che un mestiere come gli altri, una cosa che fai andando a lavorare alle 9 del mattino e uscendone alle 5 del pomeriggio, del giornalismo pensava che fosse un atteggiamento verso la vita che muove dalla curiosità e finisce col diventare servizio pubblico.
Il giornalismo era per lui una missione piena di grande dignità e bellezza, consacrata com’è alla ricerca della verità.
Un mestiere al quale si è dedicato a lungo, senza risparmiare dure critiche alla stampa italiana (cosa che non gli ha impedito di collaborare con alcuni giornali nostrani, tra cui Repubblica ed Il Corriere della Sera), giudicata troppo incline a scendere a compromessi con il potere e poco dedita al controllo delle notizie, troppo ossessionata dalla pretesa di essere obiettiva e poco consapevole del fatto che si sceglie sempre da che parte guardare.
Il lavoro in redazione non faceva per lui, Tiziano ha sempre saputo di voler fare il corrispondente dall’Asia, da quella Cina che allora per gli occidentali era ancora un estremo oriente. Ci è riuscito all’estero, come uno dei tanti giovani che oggi vanno a cercar fortuna altrove. Magari in Germania, dove Terzani ottenne l’incarico di come inviato dal Sud-est asiatico per Der Spiegel. In Asia ha visto molte cose: il Vietnam in piena guerra, l’umiliante cacciata degli americani e la presa del potere dei vietcong comunisti, la Cina post-maoista dalla quale viene espulso per le sue critiche al regime, considerate “attività controrivoluzionarie”. Ha visto la Cambogia invasa dal Vietnam, ma anche la Tailandia, il Giappone e l’impero sovietico, dalla Siberia all’Asia centrale, passando per il Caucaso, in un viaggio eccezionale da cui nasce “Buonanotte, Signor Lenin”. Si trovava in Siberia, aggregato ad una spedizione sovietico-cinese, quando ricevette la notizia del golpe anti-Gorbacev. Sopravvissuto al crollo dell’Unione Sovietica e alla presunta fine della storia, ha assistito all’attentato alle Torri Gemelle, quando i profeti della fine della storia si sono dovuti arrendere all’evidenza che la storia non era finita. In quel momento non ha potuto esimersi dal partecipare al dibattito sulla guerra al terrore, rivelandoci che in tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Lettere contro la guerra più che una raccolta epistolare è un pellegrinaggio di pace. Con una di quelle lettere risponde a Oriana Fallaci che, in un articolo pubblicato sul Corriere, aveva dato l’allarme di fronte alla “crociata alla rovescia” in atto: «Oriana (…) dobbiamo accettare che per altri il terrorista possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa dei rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo».
Ha raccontato i profughi indocinesi, il popolo armeno per la cui sofferenza “non è stata fatta alcuna giustizia, a cui non è stata data nessuna Israele”, la normalità della vita nella città mitica di Samarcanda, l’Afghanistan e il Pakistan. Così facendo, Terzani si è reso testimone dell’esistenza di un modo oltre l’occidente che l’occidente non vede, troppo occupato com’è a specchiarsi nei miti che ha creato scrupolosamente.
In un reportage dal Pakistan realizzato per il Corriere si chiede: «E non è il fanatismo di questi fondamentalisti, simile al nostro arrogante credere che abbiamo una soluzione per tutto?» Era il 2001 e l’America del presidente Bush andava a combattere in Afghanistan (sì, è la stessa guerra per la quale Trump ha deciso di inviare più soldati), con le certezze che solo chi possiede i mezzi più sofisticati, gli aerei più invisibili, i missili più lungimiranti può avere.
“Il mestiere più bello del mondo” gli ha permesso comunque di passare una vita sulle frontiere, alla ricerca della verità nei fatti. Ha amato e criticato questo mestiere come pochi altri. A un certo punto, si è accorto di dover prendere un’altra strada, questa volta alla ricerca di quel “livello di verità al di là dei fatti” che al giornalismo non interessa. Tiziano non ha mai smesso di viaggiare. Neanche la malattia è riuscita a farlo desistere, anzi, lo ha spinto a mettersi in viaggio di nuovo, questa volta per cercare cure alternative a quelle offerte dalle macchine “spara-radiazioni” dei medici di New York (alle quali pure si è sottoposto). La meta del suo primo viaggio senza scopi giornalistici è non solo quell’India che ha descritto “sporca, povera, a volte ladra e bugiarda”, ma anche un luogo tutto interiore al confine tra la ragione e l’irrazionale, la scienza e la tradizione, la medicina classica e quella alternativa. Da quel viaggio è nato Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo.
Oggi la Turtle House, la sua amata casa a Bangkok, rischia seriamente di essere demolita per far posto ad un grattacielo, l’ennesimo pezzo di quell'”orrore di cemento” descritto da Terzani in Un indovino mi disse. Una petizione è stata lanciata per salvarla, in memoria dell’uomo bianco che ci ha vissuto. Se non dovesse bastare, per ricordarlo si può comunque seguire il suo consiglio e vivere una vita nella quale riconoscersi.