«Un robot può scrivere una sinfonia? Un robot può trasformare una tela bianca in un’opera, in un capolavoro?»
Era il 2004 quando Io, robot usciva nelle sale: il film con protagonista Will Smith è ambientato in un futuro dove i robot convivono con gli umani e dove essenzialmente svolgono per loro mansioni di tipo domestico, diventando come dei maggiordomi artificiali, finché non compare tra loro un esemplare straordinario, e cioè un robot assemblato per superare lo standard dell’intelligenza artificiale costruita fino ad allora. Il film, più che sollevare questioni sofisticate come “i robot sognano pecorelle artificiali?”, verte sicuramente più sull’intrattenimento, eppure ha senza dubbio contribuito a comporre l’immaginario collettivo di automa.
Nel 2017 le intelligenze artificiali non ci rincorrono per riportare lo spray per l’asma che abbiamo lasciato a casa e neppure ci aprono la porta quando entriamo in ufficio, però interagiamo quotidianamente con loro. Siri, o anche applicazioni interattive come Cleverbot (un’intelligenza artificiale con cui si può dialogare dal 1997 e se siete curiosi di provarlo è sufficiente che lo cerchiate su google) o il più celebre Spacobot di Telegram possono persino risultare divertenti: questi bot non hanno ancora una loro forma fisica ma i robot, così come molti film di fantascienza ce li hanno presentati, sembrano ormai più vicini di quanto non si pensi. Basti pensare che in Giappone esiste un albergo dove i clienti vengono in effetti accolti da dei robot alla reception: una trovata non tanto commerciale, ma praticamente costretta visto il calo demografico nella terra del Sol Levante, che sta bloccando anche le immigrazioni trovandosi di fatto in seria difficoltà vista la bassa disponibilità dei lavoratori.
Oltre a parlare con noi, una delle ultime trovate tecnologiche per potenziare le I.A. è stata presentata a Trieste: Baskerbot sembra rispondere proprio come Sonny nel film di Will Smith, che alla domanda sopracitata durante l’interrogatorio con la polizia replica: «Tu sai farlo?».
Il suo creatore ha definito il suo strumento non un’opera dall’intento commerciale bensì artistico.
Una pretesa che pochissimi si attenderebbero da un robot, ma è proprio così. Paolo Gallina, professore di meccanica applicata all’università di Trieste, ha presentato il suo nuovo gioiello meccanico al Trieste Next, fiera che mette in mostra le ultimissime scoperte in campo tecnologico e dove tra gli occhi meravigliati dei partecipanti un robot dipingeva ritratti e paesaggi suggestivi su tela. Baskerbot (dal termine basker, cioè “artista di strada” e bot, che è il termine con cui si definisce un programma che svolge operazioni tentando di simulare un’azione umana) non è una stampante: non riproduce un immagine digitale su carta ma, partendo da un algoritmo, colora, sviluppando determinate peculiarità espressive fino a sviluppare un vero e proprio carattere artistico personale, che potrà essere modificato poi agendo sull’algoritmo: un po’ come quando un artista prova un nuovo stile e si corregge man mano che sperimenta.
Pur non agendo da se stesso Baskerbot dal punto di vista tecnologico attira molte attenzioni da parte degli sviluppatori di intelligenze artificiali, soprattutto per la sua capacità di apprendere e di svilupparsi a partire da un singolo algoritmo, che determina in gran parte la stesura dei dipinti: per ora il bot è capace di produrre un dipinto in autonomia solo per il 5%, il resto è dettato e imposto dall’algoritmo. Il bot sarà quindi uno strumento a servizio dell’uomo più che un vero e proprio artista perché, se è vero che è in grado di sviluppare un proprio stile, resta sempre più affine alle serie di zero e di uno di cui è composto che ai pennelli. In che modo si può manovrare? Sarà possibile interagire con il bot variando i suoi codici: così che mentre Baskerbot impara e due dipinti non saranno mai uguali l’uno all’altro, l’uomo potrà controllarlo vietando alcune tecniche e favorendo determinati stili piuttosto che altri.
Ma se allora le opere di questo braccio meccanico sono comunque legate a degli algoritmi, è possibile definire “arte” il prodotto finale di Baskerbot?
Ovviamente la definizione di arte è tutt’altro che esaurita, eppure Gallina ha dato un’interessante risposta, riprendendo quella che è la storia dell’arte dalle sue primissime origini. Se le pitture rupestri furono create con strumenti tanto rudimentali quanto innovativi per l’epoca e ogni stagione artistica si caratterizza per un segno innovativo per la propria modernità, allora Baskerbot forse un domani sarà lo strumento del futuro. Sono in molti però a guardare il robot pittore con diffidenza: sarà forse perché di fatto è comunque l’uomo a comandare o è il timore di non essere più tanto unici se un domani le macchine riuscissero a diventare artisti a tutti gli effetti?