Niente più morti ammazzati o traffici illegali di droga per i mafiosi di oggi che decidono di tagliare con il passato cimentandosi nell’apertura di ditte e cooperative da veri businessmen. Insomma, cambiano le modalità ma l’obiettivo resta sempre lo stesso: fare soldi e farli facili. Si chiamano mafie imprenditrici e dominano le città del sud-ovest milanese infiltrandosi nel loro tessuto sociale.
Come operano? Quali soluzioni attuare? Trovare delle risposte a queste domande è stato il tema dell’incontro pubblico di venerdì 6 ottobre tenutosi presso il centro polifunzionale Martin Luther King di Bareggio, città inquinata dalla forte presenza della ‘ndrangheta. Ospiti della serata, la Dott.ssa Alessandra Dolci, sostituto procuratore della direzione antimafia, Gianpiero Serbi, presidente dell’associazione “Carovana antimafia del sud-ovest milanese”, che da anni si dedica alla lotta e alla sensibilizzazione al fenomeno ‘ndranghetista, e altri personaggi illustri.
Il presidente della Carovana punta il dito contro il mutismo di alcuni sindaci accusandoli di complicità in quanto «non ammetterebbero l’esistenza della criminalità organizzata sul suolo che amministrano per timore di rovinare l’immagine del loro paese, limitandosi a celebrare anniversari di morte per mano mafiosa», mentre la Dott.ssa Dolci, riprendendo le parole del procuratore della repubblica di Roma, Pignatone, sottolinea una sostanziale differenza tra l’atteggiamento del cittadino del nord e quello del sud.
Infatti mentre al meridione, dopo le stragi di mafia, si è presa una posizione di ostilità nei confronti dei malavitosi, al nord si predilige l’omertà.
Ciò che spinge a tacere e, in certi casi, a fare affari con i boss sono soprattutto i prezzi concorrenziali che le imprese mafiose possiedono e che spingono altri imprenditori a contattarli. Sia Serbi che la Dott.ssa Dolci reputano questa tipologia di mafia più pericolosa di quella classica poiché è silenziosa, dal profilo basso e socialmente più accettata dai cittadini i quali sostengono che «in fondo non fanno niente di male, offrono posti di lavoro».
Dunque, il problema in questo paese è un problema di tipo etico: i magistrati hanno tutte le armi necessarie per combattere la ‘ndrangheta, ma non basta. Se non si crea una sinergia tra politica, associazioni e cittadini sarà impossibile vincere il cancro mafioso.