Fabrizio Fusco
Alle ore 16:02 del 7 ottobre 2006, la giornalista russa Anna Politkovskaja rientra a casa con le buste della spesa nel palazzo dove abita a Mosca. Ad attenderla c’è un sicario. Nell’ascensore la polizia rinviene il cadavere della giornalista: ad ucciderla un colpo alla testa.
Anna Politkovskaja era nata 48 anni prima a New York, figlia di due diplomatici sovietici di stanza presso l’ONU. Dopo aver studiato giornalismo a Mosca inizia a lavorare presso il quotidiano Izvestija, uno dei più antichi e popolari giornali russi. Nel 1994 passa all’ Obščaja Gazeta, per conto della quale si recherà per la prima volta in Cecenia. Dal 1999 fino alla sua morte collaborerà con la Novaja Gazeta, ancora oggi una delle pochissime testate russe votate al giornalismo indipedente.
Ben presto “Anja”, come la chiamavono gli amici, legherà il suo nome alle vicende della seconda guerra cecena, una delle poche testimoni oculari del disonore russo, come ebbe a definire il conflitto in uno dei suoi reportage più famosi. Una guerra sporca, estremamente sanguinosa, ma allo stesso tempo nascosta come poche, celata nell’ombra dell’omertà dalla maggioranza degli organi di stampa russi. Per Anna la Cecenia diventa un’ossessione e raccontare quel genocidio, le vere ragioni di tutto quell’orrore, un’esigenza personale, intima. Anna ha sete di verità, e con coraggio decide di andarsela a prendere quella verità, lì nei villaggi più sconosciuti, dove i metodi di repressione del governo russo potevano essere attuati nell’indifferenza comune, lì dove le persone che soffrono non hanno voce. E spesso Anna riusciva a trovarla quella verità, e a gridarla al mondo con i suoi reportage e i suoi libri, ad ogni costo. Già, ad ogni costo, perché Anna aveva messo in conto i rischi del suo modo di fare giornalismo, e ne denunciava le conseguenze durante una conferenza di Reporter Senza Frontiere da Vienna (dove era stata costretta a fuggire dalle continue minacce subite dalle autorità russe), neanche un anno prima del suo assassinio:
Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare.
Ad 11 anni dalla sua scomparsa Anna Politkovskaja non ha ancora avuto giustizia.
Nel 2014 un tribunale di Mosca ha riconosciuto i cinque responsabili materiali dell’omicidio, ma non è ancora stata fatta luce sulle vere ragioni dei mandanti. Sono in molti però a pensare che il presidente Putin quel 7 ottobre di 11 anni fa abbia voluto farsi un bel regalo di compleanno (beffarda coincidenza!). La continua denuncia dei crimini in Cecenia, i problemi sociali ed economici della Russia, come la gestione del dissenso da parte dei servizi segreti; questi i fatti raccontati per filo e per segno in uno dei saggi più importanti della giornalista: La Russia di Putin.
Oggi che il Cremlino ha deciso di sostituire i rubli alle raffiche di Kalashnikov, riempiendo le casse del governo ceceno di Kadyrov, in un paese in cui la popolazione si informa prevalentemente tramite la televisione statale, lo spirito di Anna Politkovskaja continua ad aleggiare più vivo che mai.