
Dopo anni di tentennamenti, sembrava che la situazione si fosse finalmente sbloccata quando il 20 aprile di quest’anno la Camera, stimolata dalla vicenda di Dj Fabo di poche settimane prima, approvò la legge sul Biotestamento con 326 voti favorevoli, 37 contrari e 4 astenuti. Com’è noto, infatti, l’Italia non è solo l’unico paese dell’Europa occidentale dove eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico sono vietati, ma è anche l’unico dove la situazione normativa è incerta per mancanza di una legge precisa. Negli ultimi anni, con l’ampliarsi del dibattito e il susseguirsi di vicende giunte all’attenzione dell’opinione pubblica, è spesso toccato ai tribunali e alla Cassazione sviluppare una giurisprudenza in merito, come ad esempio in occasione del caso Englaro.
Il testo della legge approvata dalla Camera prevede che entro alcuni limiti ogni maggiorenne abbia diritto a rinunciare ad alcune terapie mediche, in particolare alla nutrizione e all’idratazione artificiale. In particolare, verrebbero autorizzate le “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), con le quali i pazienti possono disporre il proprio trattamento con un giudizio insindacabile da parte del medico, tranne nei casi in cui la malattia si evolva in modo inaspettato. Inoltre, nel testo sono contenute varie innovazioni, tra le quali la possibilità di obiezione di coscienza da parte dei medici, il divieto di accanimento terapeutico su malati terminali o nell’imminenza della morte e il diritto al cosiddetto “consenso informato” del paziente, attraverso informazioni chiare ed esaurienti delle sue condizioni e delle cure alle quali è sottoposto
Nonostante l’iniziale ottimismo la legge ha finito per arenarsi nella Commissione Sanità del Senato, dove giace ormai da cinque mesi senza che i partiti prendano una decisione risolutiva.
Come spesso accade quando si discutono temi quali i diritti civili, la questione politica si è presto trasformata in questione procedurale: i partiti cattolici, la Lega e molti parlamentari in ordine sparso hanno deciso di opporsi alla legge con un ostruzionismo forsennato e la presentazione di quasi 3000 emendamenti. La presidente della Commissione Emilia Grazia De Biasi (Pd) ha più volte paventato una soluzione estrema per consentire alla legge di arrivare in aula al Senato: con le sue dimissioni, infatti, la procedura sarebbe più veloce e il testo potrebbe approdare all’esame definitivo senza l’esame di tutti gli emendamenti. Tuttavia, come ha fatto notare il radicale Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e principale esponente del fronte favorevole alla legge, «De Biasi ha annunciato di essere pronta alle dimissioni in sette precedenti occasioni, qualcuno potrebbe nutrire qualche dubbio sull’effettiva credibilità di questa ennesima promessa. Che sia la volta buona?».
Di fronte alla totale paralisi dell’iter parlamentare della legge, che rischia così di non essere approvata negli ultimi mesi utili di legislatura prima delle elezioni del 2018, si sono levate molte voci di protesta.
Già a giugno il presidente del Senato Pietro Grasso, rispondendo a una lettera di Cappato, aveva utilizzato parole molto nette: «Non vi è dubbio che sarebbe gravissimo non riuscire a portare a compimento il lungo e a volte troppo tortuoso percorso che questi provvedimenti hanno avuto nel corso di questa legislatura: sarebbe davvero un pessimo segnale da parte della politica e delle istituzioni nei confronti di chi attende risposte concrete ai suoi problemi».
Negli ultimi giorni il dibattito si è intensificato. Quattro senatori a vita, Rubbia, Monti, Piano e Cattaneo, hanno inviato a Repubblica una lettera aperta nella quale si legge: «Il cosiddetto testamento biologico non rappresenta più, da tempo, la frontiera “divisiva” dei “nuovi” diritti civili […]. In Italia, benché se ne dibatta da decenni, il tema sembra condannato ad essere gestito nei processi, dai tribunali, dai singoli magistrati, in continua supplenza di una politica incapace di fare quel che le è proprio, il legislatore. La nazione culla del diritto non riesce a dare ai suoi cittadini una cornice giuridica certa in cui poter esercitare le proprie scelte, liberamente e responsabilmente, su una materia personalissima di libertà individuale». In conclusione: «Crediamo che questo Parlamento onorerebbe il Paese se, adottando in Senato senza modifiche il testo già approvato dalla Camera, trattasse i suoi cittadini da adulti, lasciando loro a fine legislatura, come un prezioso legato, il riconoscimento di questo spazio incomprimibile di libertà e responsabilità».
All’accorata lettera dei senatori è seguita una petizione di molti sindaci, tra i quali Sala, Raggi, Orlando, De Magistris e Appendino, con la quale si chiede l’immediato approdo della legge in aula «senza ulteriori modificazioni, al fine di non lasciare senza risposta le attese e le speranze di tanti cittadini».
Tuttavia, agli appelli illustri e all’ormai consolidata maturità del Paese per una legge sul Biotestamento, negli ultimi mesi la politica ha continuato a rispondere con un silenzio assordante. Un silenzio che forse, finalmente, sta per essere interrotto.