Del: 2 Ottobre 2017 Di: Letizia Gianfranceschi Commenti: 2

In Colombia la violenza non ha risparmiato neanche la paludosa Macondo, il mitico villaggio delle solitudini incrociate fondato dai Buendia e raccontato dal Gabriel Garcia Marquez, lo scrittore nazionale, nel suo romanzo più celebre. Forse non è un caso che il padre del realismo magico abbia vissuto in un paese come questo, dove stabilità  democratica e violenza hanno convissuto ai limiti dell’assurdo per decenni nello stesso spazio politico-istituzionale. Recentemente, la storia della Colombia si è arricchita di un nuovo capitolo che non ha messo fine ai paradossi della politica colombiana.

A settembre le Fuerzas Armadas Revolucionarias (FARC), la guerrilla più temuta della Colombia, sono diventate un partito politico. Era  quando, il 2 ottobre 2016, l’accordo di pace concluso tra il governo e le Farc venne bocciato dai colombiani, di fronte allo stupore della comunità internazionale. La posta in gioco era troppo alta per far saltare tutto. Così a novembre è stato firmato un secondo accordo che ha rivisto alcuni dei punti più controversi del precedente. La fase di incertezza aperta dalla vittoria del no sembra, però, tutt’altro che finita.

Come sta la Colombia oggi? L’accordo è bastato a far tornare la pace? Basta un nuovo nome per far cambiare le FARC?

Dopo tutto, la guerra ha avuto costi altissimi per la società colombiana. Si tratta innanzitutto delle vittime, sei milioni quelle contate nel 2014. Ma non solo. Il conflitto ha lascito in eredità una democrazia difettosa, una società polarizzata (il no ha vinto con il 50,2% contro il 49,7), il rancore, la paura, una profonda sfiducia nei confronti della guerrilla e un diffuso disprezzo per la classe politica.

La violenza c’era già prima che il Colonnello Aureliano Buendia si trovasse di fronte al plotone di esecuzione per ricordare di quella volta che suo padre lo aveva portato a conoscere il ghiaccio. C’era ancor prima che Aureliano Buendia vi prendesse parte. C’era prima che le Farc la monopolizzassero e probabilmente ci sarà ancora, visto che l’Esercito di Liberazione Nazionale non ha ancora concluso accordi di pace con il governo. In effetti, l’uso della forza, di cui in condizioni normali lo Stato detiene il monopolio, in Colombia non è mai stato prerogativa esclusiva delle istituzioni. Il decennio conosciuto come la Violencia ebbe inizio nel 1948 con il Bogotazo, l’esplosione della rabbia popolare prima a Bogotà  e poi nel resto del paese dovuto all’uccisione di Eliécer Gaitan Ayala, leader dello schieramento progressista del partito liberale candidato indipendente alle elezioni del 1950. L’episodio era sfociato in un’ondata di banditismo sociale. La radicalizzazione della protesta aveva portato all’insediamento di un regime militare. Si tratta, però, dell’unica eccezione alla lunga tradizione elettorale della politica colombiana. Questa tradizione, insieme all’assenza di movimenti populisti e alla tenuta economica durante gli anni Ottanta, (contrariamente al resto dell’America Latina, dove tutti li ricordano come “il decennio perduto” a causa della crisi del debito estero) ha trasformato la Colombia in un caso di scuola nel panorama latinoamericano. Queste caratteristiche virtuose non hanno reso il paese immune dalla nascita, a partire dagli anni Ottanta, di numerosi movimenti guerriglieri, la cui presenza ha alimentato il sostegno popolare nei confronti dei gruppi paramilitari che si proponevano di combatterli. Originariamente le FARC, diventate ben presto il gruppo maggiormente consolidato, erano formate da contadini della classe media rurale che lottavano per recuperare le terre che gli erano state portate via dai latifondisti. Una volta conquistate sufficienti risorse, anche attraverso sequestri a fini estorsivi e al controllo della produzione di coca, le FARC hanno cominciato ad aspirare a conquistare il potere a livello nazionale. Il rafforzamento della guerrilla è stato accompagnato, quasi specularmente, dalla diffusione del paramilitarismo: di fronte alla debolezza delle istituzioni e dello stato di diritto, molti colombiani lo consideravano un male necessario per mettere fine alla guerrilla. Questo mix esplosivo ha danneggiato profondamente la società colombiana.

Poi un giorno le FARC hanno deciso di cambiare vita.

Non prima però di adeguate concessioni. In particolare, il governo di Santos ha garantito la partecipazione politica degli ex guerriglieri, offrendogli la possibilità  di costituirsi in partito politico e assicurandogli una rappresentanza minima con 10 seggi al Congresso già a partire dalle elezioni del 2018. Questa concessione non è stata rivista neanche dopo la sconfitta al referendum. A giugno la consegna degli armamenti alle Nazioni Unite ha segnato l’abbandono, si spera definitivo, della lotta armata in favore della lotta democratica. L’addio alle armi è stato seguito dalla celebrazione del primo congresso di Fuerza Alternativa Revolucionaria del Comun, nome del partito delle FARC. Per tutti i colombiani, comunque, sarà  sempre il partito delle FARC.

Anche se le loro proposte politiche non sono ancora chiare, per il momento pochi sembrano interessarsene. Per tutti la pace è tornata in Colombia e questo basta. In realtà, la situazione è più complessa.

La forza politica delle FARC è ancora ignota. Forse è per questo che i delegati che attualmente assistono alle riunioni del Congresso si trovano in una situazione di solitudine politica. La sinistra li teme, la destra li odia, gli autoproclamatesi democratici mantengono una posizione ambigua. Se Timochenko e compagni saranno in grado di rompere questo isolamento politico una volta entrati nelle istituzioni per via elettorale è ancora tutto da vedere. Resta da capire quale sarà  la loro proposta politica. In questa fase di incertezza, molti commentatori ritengono che il nuovo partito preferirà una proposta più democratica e ad alto contenuto sociale, rispetto al populismo di sinistra.

Sicuramente uno degli obiettivi principali del nuovo partito è quello di migliorare la propria immagine nell’opinione pubblica. Non sembra una sfida facile. Molti colombiani pensano ancora che le FARC, convinte come sono di poter instaurare un nuovo ordine ispirato al marxismo-leninismo, sostenitori del chavismo che ha condannato alla fame i Venezuela e alla rivoluzione cubana, non cambieranno. Al di là  degli aspetti ideologici, molti non sono ancora disposti a perdonare i crimini commessi durante la guerra.

In questo contesto, la riconciliazione può avvenire solo attraverso la riduzione della polarizzazione sociale e un sistema di giustizia adeguato. Per quanto riguarda il primo fronte, la bocciatura dell’accordo di pace al referendum ha dato un segnale inequivocabile. Secondo Paula Gavira, consigliera del presidente Santos esperta di diritti umani, ai colombiani deve essere successo qualcosa, perché “è incredibile che il paese non sia attratto dalla pace, che la gente non sia attratta dalla fine del conflitto“. Una vera pacificazione è possibile solo se si esce dalla spirale dell’ assuefazione alla violenza. Per riuscirci, è necessario rafforzare una società civile che promuova il dialogo e creare un nuovo sistema di giustizia. Il 28 settembre, in occasione della discussione da parte del Congresso del disegno di legge sulla giustizia speciale per la pace, sono emerse molte opposizioni. Il sistema di giustizia transizionale prevede che chi si sia macchiato di gravi delitti e ammetta le proprie responsabilità otterrà  forti sconti da parte di un tribunale di pace. Gli altri saranno giudicati dalla giustizia ordinaria. Questo sistema, incentrato sulla vittima e sulla sua riparazione, è in contrasto con la tradizionale concezione della giustizia colombiana, che ha storicamente utilizzato sistemi giudiziari retributivi, finalizzati cioè alla pena e alla sua esecuzione. Come spiega la presidente del Tribunale Speciale di pace però, si sbagliano coloro che pensano che sarà un tribunale della vendetta. Affinché il processo di riconciliazione possa completarsi, occorre immaginare un sistema diverso, senza che questo significhi privare le vittime di adeguata protezione.

Non è comunque la prima volta che ex guerrilleri diventano un partito in America Latina. Nel 1985 la fine della dittatura uruguayana e le leggi di amnistia hanno garantito ai guerrilleri tupamaros l’ingresso sulla scena politica. Uno di loro, Pepe Mujica, è addirittura diventato presidente. In Colombia per ora una reale pacificazione è ancora lontana. Finché la riconciliazione nazionale non sarà compiuta, per molti le FARC saranno sempre le solite FARC e la Colombia rimarrà  un paese senza guerra e senza pace.

 

Letizia Gianfranceschi
Studentessa di Relazioni Internazionali. Il mondo mi incuriosisce. Mi interesso di diritti. Amo la letteratura, le lingue straniere e il tè.

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