
La Storia è un mosaico di vicende importanti intrise soprattutto della vita delle persone comuni; la materia storica è anche parte di ogni individuo. La giornalista ucraina Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura nel 2015 ha cercato nel corso della sua carriera di interpretare al meglio questo pensiero intervistando persone comuni, testimoni di alcuni momenti storici particolarmente importanti: vittime della tragedia nucleare di Cernobyl e testimoni della guerra in Afghanistan; lavoro a parte venne invece riservato alla Russia, luogo che la giornalista ha cercato nel corso degli anni di meglio identificare intervistando civili russi che vissero in modo diretto la barbarie della seconda guerra mondiale e la contraddittoria realtà della guerra fredda.
Ricerche che non hanno trovato sempre un solido appoggio nell’opinione pubblica e ancor meno tra le autorità del paese: quanto svelato dalla Aleksievic nei suoi libri risultava difatti piuttosto scomodo perché lontano dalle versioni “ufficiali”. Una ricerca che invece mirava a far conoscere più da vicino il lato umano di certe importante pagine di storia contribuendo così a renderle vive e vicine a chi le studia.
Questo lavoro di inchiesta valse all’autrice anche una vera e propria persecuzione politica,che ha fatto sì che venisse addirittura proibita la divulgazione dei suoi libri in Bielorussia. Condizioni che hanno portato la giornalista ad esprimere pubblicamente in più circostanze il proprio biasimo verso le figure politiche di Stalin e Putin, e più in generale contro i governi totalitari.
Questa condanna politica non ha però bloccato la voglia della giornalista di continuare le proprie ricerche, ma l’ha invece rafforzata: l’intento di costruire una visione “umana” all’interno della materia storica ha infatti portato la giornalista ribelle e anticonvenzionale ad intervistare centinaia e centinaia di donne russe che, durante la seconda guerra mondiale, collaborarono in modo volontario per le sorti del proprio paese partendo per il fronte. Le migliaia di “voci” raccolte sono poi confluite nel libro La guerra non ha un volto di donna edito in Italia da Bompiani e pubblicato nel 2015.
La giornalista con quest’inchiesta portò alla luce un pezzo di storia nuovo ed una visione del tutto modificata della guerra stessa.
Leggendo quanto dichiarato dalle ex soldatesse si può infatti apprendere quali erano le mansioni quotidiane delle soldatesse russe in guerra, nonché scoprire i motivi che le avevano portate a fare questa coraggiosa scelta. Non era mai stato eseguito un lavoro del genere e la stessa giornalista aveva ben intuito l’importanza di portare avanti un simile lavoro prima di tutto per rendere onore a queste “altre” eroine di guerra.
Nel proseguire questo lavoro la giornalista si accorse di avere a che fare con volti e parole decisamente unici: a distanza di decenni dalla guerra centinaia di donne trovarono infatti la forza di raccontarsi in toto alla giornalista che avevano davanti all’interno delle proprie abitazioni, liberandosi così di dettagli, impressioni e conversazioni avute nei giorni di guerra, pensieri che la maggioranza delle intervistate non aveva avuto il coraggio di confessare a persone vicine o che magari erano stati accantonati nella mente dopo che era divenuto possibile ricominciare e lasciarsi alle spalle le azioni belliche cui erano state protagoniste.
Molti dettagli, i più drammatici pervennero talvolta alla giornalista in un secondo momento, quando si era instaurato un legame di reciproca fiducia. Le ex combattenti si giustificavamo con la stessa giornalista per non essere state inizialmente capaci di spogliarsi anche di tutti quei dettagli vissuti in prima persona.
Anche questo lavoro è stato per la giornalista fonte di critiche: la si condannò infatti per aver divulgato una versione altra rispetto a quella normalmente “accettata” del periodo storico analizzato. La giornalista venne accusata di non rendere omaggio con il proprio lavoro alle figure eroiche dei soldati del proprio paese. Mancava poi in modo netto la visione “accettata” della figura femminile in tempo di guerra sostituita dai racconti di giovani donne che non appena avevano saputo che il proprio paese era entrato in guerra si erano decise a collaborare in modo attivo, giovani entusiaste che partivano in gruppi con semplici bagagli contenti ricordi e cianfrusaglie, e che in poco tempo dovevano imparare ad adattarsi e a collaborare con i soldati che non riuscivano a capacitarsi del motivo per cui esse erano lì. Grazie al lavoro della Aleksievic si può ora sapere di racconti di giovani ragazze che dovettero imparare in poco tempo ad usare le armi, curare, medicare ed indossare ingombranti divise militari spesso più grandi della loro reale taglia.
Entusiaste e inconsapevoli delle condizioni cui andavano incontro, esse dovevano far fronte anche all’incomprensione delle proprie famiglie d’origine, incapaci di comprendere la loro scelta e divorate dal dolore nel veder partire per la guerra non solo i propri figli maschi.
Un viaggio di ricerca per rendere omaggio alle “figure altre” della storia, la Aleksievic ha ben compreso l’importanza del restituire coraggio e dignità alle figure umane della storia, coloro che pagano in ogni periodo storico il reale peso di scelte politiche scellerate.
Si comprende allora quanto la ricerca della giornalista deve averle richiesto immani sforzi ed energie nel corso del suo lavoro, sforzi che forse le sono stati ripagati nel ricevere un importante riconoscimento quale il premio Nobel, mentre permangono le perplessità nel comprendere l’ostilita nutrita verso la sua persona ed il suo nobile intento volto a portare la verità da parte delle autorità politiche.