Del: 4 Novembre 2017 Di: Michele Pinto Commenti: 0

Nella storia tragicamente convulsa, e spesso oscura, della politica italiana merita certamente un posto di tutto rispetto Giovanni Leone. Presidente della Repubblica dal 1971 al 1978, rimane famoso soprattutto per essere stato l’unico Presidente italiano costretto alle dimissioni da uno scandalo politico-finanziario. Pur non essendo stato certamente il solo a dimettersi – anche Segni nel 1964 e Cossiga nel 1992 lasciarono anticipatamente il Quirinale – è stato l’unico ad essere finito dalla parte sbagliata della storia, come vittima di una colossale campagna giornalistica che mirava a screditarlo personalmente e a demolirne l’immagine pubblica. La sua vicenda rappresenta oggi la dimostrazione di quanto in alto possa essere portata la battaglia politica e di quanto pericolosa possa rivelarsi l’avventatezza delle accuse gratuite rivolte agli uomini delle istituzioni.

Leone, democristiano fin dalla giovinezza e notabile di lungo corso, prima di arrivare al Quirinale era stato Presidente della Camera per otto anni e due volte Presidente del Consiglio, a capo dei cosiddetti “governi balneari”, caratterizzati da una durata effimera e da un’incisività politica molto ridotta. Nel 1971 venne eletto al Quirinale al termine delle elezioni presidenziali più lunghe della storia italiana: a causa dell’incertezza tra i partiti e dei veti incrociati furono infatti necessari ben ventitré scrutini per eleggere il nuovo capo dello Stato.

Negli ultimi tre anni del suo mandato da Presidente della Repubblica Leone venne raggiunto da accuse martellanti e insinuazioni insistenti, che lo volevano coinvolto in scandali internazionali e responsabile di imperdonabili gaffes, come le famose corna con cui aveva risposto al grido “Morte a Leone!” di un contestatore.  Giornali e libri sono stati complici della diffusione di queste insinuazioni, ulteriormente amplificate persino da un film (Signore e signori, buonanotte).

L’argomento principale dei suoi accusatori fu senz’altro lo scandalo Lockheed, scoppiato negli Stati Uniti nel 1975, che prendeva il nome dall’azienda produttrice di aerei responsabile di aver pagato tangenti a politici e militari di molti Stati europei, in cambio dell’acquisto dei propri velivoli. In Italia erano già stati coinvolti molti politici, prima che le accuse arrivassero anche al Colle nel 1976. Lerrata interpretazione del linguaggio in codice di alcuni documenti segreti attribuì a Leone pesanti responsabilità, che erano in realtà di un altro ex Presidente del Consiglio, Mariano Rumor.

L’effetto della diffusione di queste rivelazioni consegnò di fatto Leone alla gogna pubblica.

I principali e più feroci attacchi giungevano dal Partito Radicale e dai suoi leader Marco Pannella ed Emma Bonino, dal giornale Osservatore Politico diretto da Mino Pecorelli e dal settimanale L’Espresso. Particolarmente agguerrita risultò fin da subito la giornalista Camilla Cederna, che condensò le innumerevoli accuse contro il Presidente della Repubblica nel celebre pamphlet “Giovanni Leone, la carriera di un Presidente”. Al termine del processo per diffamazione che seguì la pubblicazione del libro, la Cederna venne poi condannata al pagamento di un ingentissimo risarcimento. Costoro, e in particolare Op, non solo ritenevano Leone coinvolto nello scandalo Lockheed.

Lo accusavano di intrattenere frequentazioni poco trasparenti, di condurre una vita privata di dubbia moralità e di rappresentare nelle istituzioni una destra da sempre incline alle tendenze autoritarie.

Al discredito del Presidente contribuì però in larga misura anche il caso Moro. Dopo essersi dichiarato pronto a firmare la grazia per alcuni brigatisti rossi come contropartita richiesta dai sequestratori in cambio della liberazione di Moro, Leone aveva poi tergiversato fino all’uccisione dello statista democristiano, alimentando di conseguenza le accuse e le critiche nei suoi confronti.

Così, dai primi mesi del 1978, bersagliato dagli attacchi personali e umiliato da durissime e talvolta offensive vignette, Leone perse progressivamente l’appoggio del suo partito, la Dc, e si trovò isolato di fronte all’opinione pubblica. Il logoramento ebbe il suo culmine nei giorni successivi al 9 maggio, giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Il Partito Comunista, nel timore di trovarsi ad essere paradossalmente l’unica voce in difesa di un uomo di destra come Leone, ne chiese clamorosamente le dimissioni. I leader della Dc, desiderosi di trovare un capro espiatorio sul quale addossare la responsabilità del fallimento delle istituzioni, non offrirono al Presidente alcun aiuto. Il 15 giugno, a sette mesi dalla scadenza naturale del suo mandato, Leone rassegnò infine le dimissioni con un messaggio televisivo agli italiani, durante il quale scandì parole drammaticamente sincere:

Nel momento in cui la campagna diffamatoria sembra aver intaccato la fiducia delle forze politiche, ho il dovere di dirvi che avete avuto come Presidente della Repubblica un uomo onesto.

Negli anni successivi, chiarita l’infondatezza delle accuse e ridimensionata l’inadeguatezza delle frequentazioni di Leone, iniziò lentamente il processo di riabilitazione. Nel 1998, quando ormai la violenza delle polemiche e la nevrosi del dibattito quotidiano erano state superate, Pannella e Bonino scrissero all’ex Presidente, prossimo al novantesimo compleanno, un’accorata lettera di scuse:

“Le siamo grati per l’esempio da lei dato di fronte all’ostracismo, alla solitudine, all’abbandono da parte di un regime nei confronti del quale, con le sue dimissioni altrimenti immotivate, lei spinse la sua lealtà fino alle estreme conseguenze, accettando di essere il capro espiatorio di un assetto di potere e di prepoteri, che così riuscì a eludere le sue atroci responsabilità relative al caso Moro, alla vicenda Lockheed, al degrado totale e definitivo di quanto pur ancora esisteva di Stato di diritto nel nostro Paese”.

Con queste parole veniva impresso il sigillo definitivo sulla vicenda personale e pubblica di Giovanni Leone, ingiustamente accusato e crudelmente demonizzato di fronte al Paese. Circostanze rese ancor più gravi dall’alto ruolo che Leone ricopriva al momento della campagna diffamatoria: il discredito gettato su di lui, contribuendo ad avvelenare il clima politico già tesissimo per l’inasprimento della strategia dei terroristi, aveva infatti inesorabilmente investito anche la carica di Presidente della Repubblica che occupava. La vicenda di Leone potrebbe superficialmente apparire lontana nel tempo, ma si dimostra in realtà carica di un significato profondamente attuale: chi gioca allo sfascio finisce spesso per prendere granchi colossali; o, se in malafede, per indebolire la democrazia.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.