Del: 12 Dicembre 2017 Di: Redazione Commenti: 0

Mattia Albano

Nell’immagine di copertina: corridoio delle carte geografiche, Musei Vaticani

La geografia è una materia ostica, si sa. Anche per i più ferrati, ricordare i nomi di alcune capitali, conoscere la localizzazione continentale di alcuni Paesi o sapere la posizione di alcuni laghi importanti, può essere un’operazione alquanto complessa. Tuttavia, nessuna considerazione di questa natura può spiegare il gravissimo deficit di conoscenze geografiche che coinvolge larghe fette di popolazione italiana.

Sono passati infatti meno di due mesi dalla conclusione dell’indagine condotta da libreriamo.it che ha interessato un campione di 2.500 italiani di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e quello che ne emerge è un quadro a dir poco preoccupante. Per citare solo alcune tra le risposte più sconcertanti, 1 intervistato su 3 ha dichiarato che la capitale dell’Austria è Berlino. Più o meno la stessa percentuale di intervistati inoltre, ha collocato la Mole Antonelliana a Firenze e la città Zagabria in Romania.
Non solo, secondo un’indagine ancora più recente di Skuola.net (di circa un mese fa), effettuata su circa 1.500 ragazzi (dalle scuole medie all’università), quasi la metà degli studenti (il 49%) non sa che le regioni italiane sono 20. Ovviamente il campione preso in esame dal sito studentesco Skuola.net, coinvolgendo un numero inferiore di persone (1.500 contro le 2.500 di libreriamo.it) ed un segmento molto più marcato sul piano anagrafico (solo la fascia giovanile studentesca), è meno rappresentativo rispetto a quello dello stesso libreriamo.it, per l’appunto.

Tuttavia, il fatto che anche da questo sondaggio emerga una fotografia dell’Italia molto preoccupante dal punto di vista della preparazione geografica, dovrebbe forse indurre una qualche riflessione.  Anche perché, sempre secondo l’indagine del famigerato sito per studenti già in precedenza evocato, il numero di regioni italiane non è l’unico tallone d’Achille su cui inciampano le giovani generazioni studentesche.

Tanta confusione, infatti, viene riscontrata anche in altre questioni non meno importanti attinenti alla disciplina geografica. Da quella delle province (1 ragazzo su 3 colloca Piacenza in Lombardia ed 1 su 5 Crotone in Basilicata), a quella dei laghi (il 40% non sa che il lago di Garda è il più grande d’Italia), fino alla questione delle capitali (per fare solo un esempio, solo il 57% sa che Washington è la capitale degli Stati Uniti).

Inutile dire che, rispetto a questo quadro così allarmante di deficit culturale, gli studenti hanno pochissime colpe.

Le cause principali di questo problema, infatti, come spesso accade quando ad essere coinvolta è un’ampia platea di persone, sono sistemiche. E, nello specifico, sono da individuare nel taglio di ore settimanali dedicate alla geografia (soprattutto nelle scuole secondarie di secondo grado), da un lato, e nella presenza di molti professori inappropriati che, per colpe non loro ma a causa di regole sbagliate, hanno potuto operare come docenti senza avere l’abilitazione a questo tipo di insegnamento.

Non c’è da disperare troppo comunque, perché la situazione potrebbe molto presto migliorare. Proprio di recente infatti, il Tar si è pronunciato sulla questione con una sentenza che impone alle scuole di mettere in cattedra solo docenti dotati di specifica abilitazione, escludendo ad esempio quelli di italiano e scienze. Il miglioramento atteso, tuttavia, non sarà abbastanza significativo se l’ingresso di docenti più qualificati non sarà accompagnato da un aumento delle ore settimanali. Senza contare poi che, forse, un tema così importante (dal punto di vista culturale e non solo), andrebbe affrontato e risolto con gli strumenti della politica, senza obbligare la magistratura a svolgere un ruolo di supplenza (vedi sentenza TAR prima citata). Perché, se da un lato è vero che è stata una riforma governativa a tagliare drasticamente il numero di ore dedicate allo studio della geografia (riforma Gelmini, periodo 2008-2013), d’altro canto è anche vero che, senza un intervento politico, difficilmente il problema potrà essere efficacemente risolto.

L’ultima riforma della scuola (successiva a quella Gelmini) è la cosiddetta riforma della “Buona Scuola” (13 luglio 2015). Riforma molto contestata per il modo discutibile con il quale ha affrontato il tema dell’alternanza scuola-lavoro e per il maggiore potere che ha conferito ai dirigenti scolastici, la “Buona Scuola” non ha minimamente toccato la questione “geografia”. Eppure, basterebbe una piccola modifica didattica per risolvere il problema. Ma si sa, la politica a volte i problemi, anziché risolverli, li crea. Una volta creati però, come già in precedenza evidenziato, solo gli strumenti della politica possono aiutarci a risolverli.

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