Negli anni delle fake news e delle teorie del complotto parlare di specie aliene potrebbe essere alquanto problematico. Eppure le specie aliene esistono davvero. I biologi le definiscono organismi introdotti dall’uomo, accidentalmente o volontariamente, al di fuori della loro area di origine. Tra queste alcune diventano invasive, causando impatto sull’ambiente, sull’economia o sulla salute dell’uomo. Se è vero che la Terra è sull’orlo della sesta grande estinzione di massa, simile alle cinque che l’hanno preceduta, tra le cause c’è da considerare, appunto, anche l’introduzione di specie aliene invasive.
Negli ultimi 400 anni oltre la metà delle estinzioni vede coinvolta una specie invasiva.
Un’estinzione su cinque è dovuta esclusivamente a questo fattore. L’impatto sociale ed economico delle specie aliene invasive è stimato in oltre 12 miliardi di euro ogni anno nella sola Unione Europea. Delle 12.000 specie aliene segnalate oggi in Europa, più di 3.000 sono presenti in Italia, di cui oltre il 15% sono invasive. In Italia il Consiglio dei ministri ha appena approvato, in via definitiva, il provvedimento che adegua la normativa nazionale alle disposizioni europee del regolamento UE n. 1143/2014 sulle specie esotiche invasive, entrato in vigore nel gennaio 2015. Il citato regolamento prevede, in sintesi, i seguenti tipi di interventi: la prevenzione, la diagnosi precoce, l’eradicazione rapida e, infine, la gestione delle specie aliene.
La Commissione Europea ha poi finanziato il programma Daisie (Delivering alien invasive species inventories in Europe, Costituzione di inventari delle specie invasive aliene in Europa) per censire le specie invasive di tutto il continente e sperimentare un sistema di allerta rapido ed efficiente. La banca dati contiene informazioni sull’origine, la dieta, l’habitat, la data di arrivo e l’impatto economico ed ecologico di ogni specie. Molte di queste sono a noi note: quasi due terzi delle specie catalogate si possono trovare in ambienti antropizzati o seminaturali come case, campi, parchi e giardini. Vengono introdotte intenzionalmente a scopo di caccia, pesca e allevamento o perché usate come specie ornamentali, nel caso di diverse piante.
Si possono fare diversi esempi. Il parrocchetto dal collare africano (Psittacula krameri), dal piumaggio verde brillante, noto in buona parte d’Europa, dal Regno Unito alla Spagna, all’Italia e alla Grecia, del quale si teme la potenziale capacità di scacciare specie native con abitudini di nidificazione simili, come il passero domestico, il picchio muratore europeo e lo storno europeo. La cozza zebrata (Dreissena polymorpha), originaria del Mar Nero e della zona del Mar Caspio, che sta avendo la meglio sulle vongole autoctone e pregiudicando la qualità dell’acqua di molti laghi, oltre a provocare anche problemi economici poiché ostruisce i sistemi idrici industriali e municipali e si attacca agli scafi delle imbarcazioni. La zanzara tigre asiatica (Aedes albopictus), che è arrivata in Europa in piccole pozze d’acqua formatesi all’interno di copertoni usati, ora diffusa in Italia e nei Balcani occidentali, originaria del Sudest asiatico, è un vettore di diverse malattie, tra cui la dengue e la chikungunya. L’elenco è ancora lungo, si potrebbero ancora citare il punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugineus), il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis), l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia) etc.
A volte succede che quando un animale o una pianta è talmente diffusa, gran parte delle persone la consideri parte integrante dell’ecosistema.
Oltre a promuovere campagne di formazione, informazione e comunicazione allo scopo di ridurre il tasso di introduzione di specie aliene invasive, alcuni ricercatori stanno lavorando su un metodo di ingegneria genetica. Il processo inizia con l’identificare un’alterazione genetica che possa ridurre la resistenza ai pesticidi, compromettere la capacità di una popolazione di riprodursi o impattare la specie d’interesse in qualche altro modo. Gli scienziati possono, a quel punto, inserire tale alterazione nel genoma della specie invasiva e poi fare in modo che sia più probabile la trasmissione degli elementi genetici alterati alla generazione successiva. In questo modo, col passare delle generazioni, le popolazioni di specie invasive dovrebbero andare riducendosi. Proprio ora, nel tempo in cui viviamo, ci troviamo a decidere, senza quasi volerlo, quale percorso evolutivo rimarrà aperto e quale invece verrà chiuso per sempre. Ma come si legge su un cartello piazzato nella Sala della Biodiversità dell’Università di Stanford: «Portando all’estinzione le altre specie, il genere umano sta recidendo il ramo su cui esso stesso si posa». E allora forse l’unica vita che potrà perpetuarsi sarà quella extraterrestre.