Del: 27 Gennaio 2018 Di: Greta Fossati Commenti: 0

Fotografie di Eleonora Duro e Giacomo Rocchi

Per arrivare al campo di concentramento di Auschwitz- Birkeneau si è soliti partire dal centro di Cracovia: da qui diversi mezzi portano direttamente nel luogo della memoria. Già in questo tragitto si avverte tra i visitatori un’atmosfera di tensione: irrigiditi, si riflette se si sarà in grado di osservare in modo diretto e senza mezze misure il volto più temibile della barbarie nazista.
Man mano che si arriva nel luogo di prigionia le case si diradano come le vecchie cascine, che sono tipiche della zona, mentre sfrecciano veloci dai finestrini decine e decine di alberi cresciuti in file disordinate. Le guide prima dell’arrivo informano i visitatori che non sarà loro possibile portare dentro il campo borse di grandi dimensioni e cibo.
Proprio come in aeroporto o in un museo i visitatori devono passare i controlli con il metaldetector.

Si è distribuiti in file ordinate, in silenzio, e viene naturale pensare a tutti coloro che percorsero quella stessa entrata più di settant’anni fa, allora come oggi affondando nel fango fresco, compagno invernale di tutti coloro che entrano in quel luogo della Polonia meridionale.

La visita ad Auschwitz comincia oltrepassando il noto cartello con le scritte di metallo ed una recinzione di filo spinato. Appena si scorgono le prime baracche del campo si comprende che ogni cosa accaduta in questa prigione a cielo aperto è rimasta cristallizzata in ogni dettaglio.
Il tempo si è fermato da allora, e la realtà immobile permette di vedere e forse sentire realmente quel che avvenne. Mentre la visita prosegue si viene infatti a conoscenza delle singole storie e di dati concreti. Si parla di appelli, di stagioni atmosferiche crudeli che sia in inverno che in estate riservavano ai prigionieri ulteriori tormenti. I racconti delle guide che accompagnano i gruppi di visitatori prendono vita negli ingrandimenti e nelle fotografie appese nelle baracche. E poi, file e file di ritratti mostrano i dati anagrafici, le vecchie professioni e gli occhi dei prigionieri, ma i tempi ristretti delle visite non permettono di fermarsi a dovere di fronte a ciascuno di quei volti.

Niente di ciò che è accaduto ad Auschwitz potrà mai andarsene per davvero.

Rimane una matassa di occhiali aggrovigliati tra di loro che nessuno ha il diritto di districare, migliaia e migliaia di valigie sono accatastate in una grande sala e sul dorso mostrano ancora il nome del proprio proprietario. Non si sa dove siano ora le anime di quelle persone, ma sappiamo bene che una parte concreta di loro giace ancora lì, in una delle baracche che le accolse e che ora custodisce i loro capelli accatastati a tonnellate, ancora divisi per trecce o a piccole ciocche.
Quelle baracche possiedono tutte le misure di scarpe possibili e alcune conservano ancora qualche tocco di vernice.
Si sapeva solo che si stava andando a vivere altrove. Molti decisero per questo di portare con sé le proprie pentole e stoviglie. Una sala enorme contiene ancora tutti gli oggetti di vite quotidiane spezzate: pettini, prodotti da toeletta e le fotografie del proprio matrimonio.
Durante la visita è anche possibile vedere in concreto le razioni di cibo date ai prigionieri: ciotole solidificate dal colore sporco ben testimoniano gli stenti e l’atroce volto della fame che i prigionieri vissero in prima persona.
Ad Auschwitz c’è un muro con impresse le migliaia di esecuzioni sommarie di cui è stato silenzioso testimone e che ora regge, per contrapposizione, una fiamma eterna, di memoria e di ricordo. Situata prima dei sotterranei di Auschwitz, prima di entrare le guide ricordano che non è possibile scattare fotografie e grandi scritte ricordano in tutte le lingue del mondo di fare silenzio, di mostrare rispetto, perché è proprio in quegli stessi muri che venne sprigionato il gas letale di cui si è letto nei libri e visto nei film.
Nella seconda parte della visita è possibile accedere al campo di Birkeneau e vedere le eterne rotaie della Shoah. 

In questo campo sono ben visibili anche i tentativi delle guardie tedesche che a quasi fine della guerra cercarono in tempi veloci di nascondere e distruggere le prove di quanto era accaduto. Nelle baracche di questa prigione sono ancora presenti le strutture dove i prigionieri dormivano ammassati a centinaia e centinaia, nelle baracche adibite a “bagni” l’odore di organico è ancora nauseabondo ed insopportabile: ulteriore tassello della realtà più intrinseca del campo e che mai potrà andar via.
Alla fine del campo vi è un solido monumento di memoria, un urlo che in tutte le lingue del mondo invita a riflettere su quanto avvenuto. Le rotaie finiscono, e si conclude anche il percorso della visita, la visita a un cimitero aperto, creato e organizzato dalla follia umana, un cimitero da osservare attentamente per ricostruire i brandelli di esistenza di tutti coloro che attraversarono il campo. E provare a dare loro umanità e onorarli con il ricordo.
Oggi, 27 gennaio, si prova a ricordare e a far memoria di tutte le vittime della Shoah.

Greta Fossati
Laureanda in Beni Culturali e tata part-time. Penso ai temi degli articoli mentre preparo torte ed improbabili frullati Detox. Da grande mi piacerebbe girare per il mondo e scrivere reportage.

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