Del: 28 Febbraio 2018 Di: Giulia Giaume Commenti: 0

Andare a teatro è diventata un’esperienza eccezionale. Non tanto perché non siamo circondati da opportunità, anzi. I palchi di Milano fioriscono di iniziative vecchie e nuove, modernizzazioni e messe in discussione. Ma cosa significa andare effettivamente a teatro? Le opzioni sono due: o ci si culla nella certezza delle opere più canoniche, oppure ci si butta in mare aperto, nell’ignoto. Con i rischi che ne conseguono.
È in scena fino al 25 di marzo al Piccolo Teatro Grassi di Milano “Il teatro comico” di Goldoni. Una pièce particolare: una commedia che parla di commedie. Più precisamente, una farsa che introduce, come un pamphlet, la rivoluzione che Goldoni intende compiere nella Commedia dell’Arte. Come dice lo stesso regista e interprete, Roberto Latini, è un Goldoni di gusto “pirandelliano”, davanti al cui metateatro il pubblico moderno non è a disagio.

Allora perché il teatro è ancora, a tutti gli effetti, un’esperienza eccezionale?

E perché al Grassi molte facce giovani erano smarrite, perse ogni qualvolta la rappresentazione si allontanava audacemente dal testo originario?
Perché il teatro – forse in modo metateatrale anch’esso – sa di essere teatro e non cinema, televisione, internet. Con la differenza fondamentale, da questi, di avere la certezza di parlare ad un pubblico che torna ad essere elitario. Che sarebbe tuttavia l’opposto della rivoluzione di Goldoni: allontana il testo originale dall’interpretazione effettiva al punto che il pubblico più novello si chiede che cosa stia succedendo.

Chiariamo: il passaggio dalla Commedia dell’Arte al teatro moderno, che è quello teorizzato nel “Teatro comico”, ha significato in termini pratici che vi fosse un copione fisso con cui esprimere la volontà dell’autore – e nessun altro – e limitare i voli pindarici anche sconvenienti dei singoli interpreti. Oltre a ciò, significativa è la perdita delle maschere a favore di personaggi complessi e imprevedibili, così da superare l’impasse nel quale stagnava il teatro settecentesco. Ma questo cosa significa oggi?
Oggi, con la coscienza stratificata che il pubblico ha del teatro, e la scelta consapevole di stare assistendo a un medium artistico con regole a sé stanti, il teatro ha delle ardue responsabilità, e un compito ancora più difficile: rispettare il testo, dare una propria interpretazione, far riflettere ora come allora.

Il rischio di non capire nulla è alto.

Il margine di creazione che un regista di teatro ha è pressoché illimitato, ma perde il proprio pubblico. Andare attivamente a cercare molte delle citazioni presenti perché non le si conosce è una cosa fattibilissima, che però toglie allo spettatore la soddisfazione di capire al livello più profondo la rappresentazione mentre la vede. Certo, se il regista fa letteralmente a pezzi Arlecchino, la maschera per eccellenza, e ne cala gli arti sugli attori, qualcosa si intravede. Ma se nemmeno la bravura indiscussa degli interpreti riesce a compensare tre minuti interi di fumo, monopattini e manichini di un crash test, c’è da chiedersi per chi sia il nuovo teatro.

Giulia Giaume
Innamorata della cultura in ogni sua forma, lasciatemi in ludoteca con un barattolo di Nutella e sono a posto.

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