Chi farà il presidente del Consiglio? È nata la Terza Repubblica, come dice Di Maio? Quali partiti entreranno nel governo? Quali mosse bisogna aspettarsi? Quali leader sono destinati a scomparire? Quale ruolo assume adesso Mattarella? Dopo il voto di ieri, che molti hanno definito “storico”, rimangono tantissime incognite, la gran parte delle quali è destinata a rimanere senza risposte ancora per lungo tempo. Di certo, in un colpo solo, muta profondamente il panorama politico. Dal ’46 a oggi, infatti, la vittoria nazionale non era mai andata a un partito non centrista, dalla Dc a Forza Italia all’Ulivo-Pd. Il Movimento 5 Stelle e la Lega ottengono straordinari successi, mentre, all’estremo opposto, l’intera sinistra ― dal Pd a LeU ― subisce una clamorosa, nettissima e storica sconfitta. Ma cerchiamo ora di mettere un po’ d’ordine e fissare alcuni punti imprescindibili per capire cosa accadrà ora.
Il trionfo di Di Maio
I Cinque Stelle raggiungono il 31% e si impongono come baricentro politico della prossima legislatura. Di certo spicca la perfetta strategia comunicativa di queste ultime settimane, che è riuscita a oscurare i non pochi problemi ― i rimborsi falsati su tutti ― che hanno preceduto il voto. Il nuovo corso “normalizzato” di Di Maio ha trionfato e adesso, conseguentemente, il leader grillino ha chiesto la guida del governo, dicendosi disposto a trattare con tutti. Di Maio, in questo senso, ha assicurato che il M5S vuole assumersi la responsabilità di governare. Al momento sembra più probabile la ricerca di una maggioranza verso il Pd, piuttosto che dalle parti della Lega: questa è però una partita che si giocherà nelle prossime settimane. Resta lo storico dato complessivo, con l’intero meridione colorato di giallo e numerose province dove un elettore su due ha votato Cinque Stelle.
Salvini domina nel centrodestra
La Lega in cinque anni passa dal 4 al 18% e diventa il partito guida dal centro-destra, sorpassando Forza Italia soprattutto nelle regioni del nord. Questo dato rappresenta indubbiamente un successo personale di Matteo Salvini e della sua strategia nazionale. Il segretario leghista ha assicurato che la coalizione di centro-destra sarà il suo solo orizzonte per formare una maggioranza di governo in Parlamento, escludendo così la possibilità da più parti paventata di un insolito accordo Cinque Stelle -Lega. Da ciò consegue che il candidato premier della coalizione, stando ai patti pre-voto, sarà proprio lui. Nella sua prima dichiarazione ha parzialmente allontanato l’eventualità di un governo nettamente ostile all’Europa, ma ha utilizzato parole durissime contro l’euro, definendola “una moneta sbagliata in un sistema unico destinato a fallire”. Ciononostante ha escluso il referendum sull’euro. Ora per la Lega si aprono, accanto alla partita del governo ― dove trovare una maggioranza? ― le sfide del consolidamento al centro-sud e della leadership all’interno della destra. Il sorpasso su Fi rappresenta una svolta storica per la politica italiana: i radicali-sovranisti prendono più voti dei moderati.
Per il Pd un tonfo storico
Il Pd è affondato al suo minimo storico, al di sotto della soglia psicologica del 20%. Il nodo centrale è il futuro di Matteo Renzi, sia da segretario che da semplice senatore. Le minoranze hanno chiesto le sue dimissioni appena i dati hanno iniziato a delineare la catastrofe: l’Emilia non più rossa e contenibile dal centro-destra, il tracollo nel sud, la netta sconfitta nel nord, le difficoltà persino dei ministri uscenti di fare risultato nei propri collegi. La scelta è tra l’opposizione ad ogni costo e la partecipazione a un governo pentastellato, probabilmente guidato da Di Maio: in caso di intesa M5S-Pd, però, Renzi segretario rappresenta un ostacolo evidente. La situazione, inutile dirlo, è difficile: al fianco del ragionamento sulle ipotesi di governo, infatti, i risultati del voto hanno reso necessario un ripensamento generale dell’intera area di centro-sinistra.
La sconfitta di Berlusconi
Nonostante il successo generale del centro-destra, Berlusconi esce nettamente indebolito, con Forza Italia al 14%. Superato dalla Lega e impossibilitato a governare con il Pd, ha fallito l’obbiettivo dell’ennesima rimonta. L’unica possibilità di andare al governo, pur in una posizione subalterna e nettamente ridimensionata, è appoggiare la candidatura di Salvini. Ma Berlusconi, in oltre vent’anni, non ha mai governato da “socio di minoranza”: le incognite, in questo senso, sono numerosissime.
Affonda l’intera sinistra
Il panorama della sinistra è desolante: i risultati finali consegnano una sconfitta storica che segnerà l’area politica per molti anni. Si ridefinisce il concetto stesso di “sinistra”, con i moderati e i radicali perdenti in egual misura, molte leadership personali evaporate definitivamente e un riallineamento sulle percentuali della sinistra tradizionale del resto d’Europa. La somma totale di tutta la sinistra, dal Pd a Potere al Popolo, è intorno al 26%. Il raggruppamento dei fuoriusciti guidato da Pietro Grasso acciuffa l’ingresso in Parlamento per un soffio, +Europa della Bonino non raggiunge il 3%, alcuni ministri uscenti ― Minniti e Franceschini ― perdono malamente nei loro collegi. Qualsiasi formula di governo, ad esclusione dell’appoggio del Pd ai Cinque Stelle, rende di fatto la sinistra ininfluente. Adesso si aprirà la resa dei conti, con la ricerca di un nuovo assetto in netta discontinuità con quanto si è visto finora. Alcuni punti nodali su questa strada sono indubbiamente il destino di Renzi e le sue eventuali velleità di dare forma a un nuovo partito centrista che si ispiri a Macron.
Il dopo voto
La palla adesso passa al Presidente Mattarella. Il 23 marzo si insedieranno le nuova Camere, che eleggeranno i loro presidenti. Subito dopo inizieranno le consultazioni per trovare possibili intese di governo. Non esiste una strada predefinita, come dimostra la molteplicità di soluzioni che negli anni si sono trovate, o inventate, per dare un governo al Paese. Gli scenari più probabili sono tre: un incarico a Di Maio per far partire un governo di minoranza (cioè con una fiducia parlamentare grazie all’astensione di altri partiti) che poi cerchi la maggioranza provvedimento per provvedimento; un incarico a Di Maio o a una figura terza rispetto ai leader in campo per provare a formare un governo di convergenza con quante più forze possibili: M5S, Pd, LeU; un incarico al centrodestra per partire dalla maggioranza di seggi di Lega-FdI-Fi nelle Camere e cercare l’adesione di gruppuscoli e singoli parlamentari. Di certo non saranno strade semplici, e molto dipenderà dall’atteggiamento che Di Maio assumerà nei prossimi giorni: se sarà cioè disposto a negoziare sui ministri che ha presentato la settimana scorsa e, eventualmente, a rinunciare a Palazzo Chigi.