Del: 2 Marzo 2018 Di: Michele Pinto Commenti: 0

In Europa qualcosa si sta muovendo. Come confermano decisioni e dichiarazioni di vari leader, dopo le elezioni italiane del 4 marzo e in vista delle europee del 2019 sono in vista cambiamenti determinanti per il futuro dell’Unione.

La spinta propulsiva arriva direttamente dal presidente francese Emmanuel Macron. Lo scorso settembre aveva pronunciato alla Sorbona un attesissimo discorso sul futuro dell’Unione Europea. Le speranze non erano state disattese: Macron, infatti, rilanciò in quell’occasione un grande progetto di riforma e rifondazione dell’Europa, che prendesse le basi dalla volontà franco-tedesca di dare vita alla cosiddetta “Europa a due velocità”, nella quale i paesi contrari alle riforme non possano sbarrare la strada a quelli più volenterosi. Nell’Unione a 27, infatti, c’era sempre stato il vincolo dell’unanimità per le decisioni comunitarie. Ma oggi il presidente francese intende voltare pagina: «L’Europa che conosciamo è troppo lenta, debole, inefficace, ma solo l’Europa ci può dare la capacità di agire nel mondo di fronte alle grandi sfide».

Innanzitutto, i temi. Macron ha parlato di sei punti chiave su cui costruire l’Europa del futuro: sicurezza coordinata per fare fronte al terrorismo e gestione rigorosa e condivisa delle frontiere comuni; difesa comune autonoma dalla Nato, tramite la creazione di un esercito condiviso dai paesi membri, e politiche migratorie gestite dall’Ue e non dai singoli stati; politica estera comune e partenariato con l’Africa, sovvenzionato da una tassa sulle transazioni finanziarie; transizione ecologica che preveda una tassa sul carbone e un mercato europeo dell’energia, accompagnata da un rafforzamento della sovranità alimentare; digitale, attraverso la creazione di un’agenzia europea dell’innovazione e sollecitando l’aumento della ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale; moneta unica forte che crei una zona euro efficace, solidale e competitiva a livello mondiale, attraverso l’introduzione di un ministero delle finanze europeo e la gestione del bilancio a livello comunitario, capace di stabilire a monte la misura della tassazione che i singoli stati possono applicare alle imprese.

La questione principale di questo processo è rappresentata dal peso politico che l’Europa unita  e con un’unica voce in politica estera  può avere nello scacchiere internazionale.

Di fronte al progressivo indebolimento della Nato e al disimpegno degli Stati Uniti di Trump rispetto alle questioni europee, di fronte alle velleità della Russia di Putin nei confronti dell’est europeo, di fronte alla crescita cinese e alla progressiva destabilizzazione del Medio Oriente, solo un’Europa forte e coesa può affrontare le grandi sfide dei prossimi decenni.

Molto si è già fatto: la Banca Centrale, sotto la guida di Mario Draghi, è stata in grado di superare grandi difficoltà, soprattutto attraverso l’acquisto di titoli di stato e il rilascio di moneta, di porre le basi per la ripresa economica registrata in questi mesi.

Per quanto riguarda la difesa comune, già a dicembre è stato raggiunto un importante successo con l’approvazione, da parte di 23 paesi membri, di diciassette progetti condivisi e la nascita della cosiddetta Pesco, una cooperazione rafforzata in ambito militare. Questo risultato era stato rincorso dall’Ue fin dal 1954, quando un progetto analogo fu bocciato dalla Francia. Non va inoltre dimenticato che molti degli obiettivi posti da Macron furono sempre osteggiati dalla Gran Bretagna: i leader inglesi, da Churchill alla Thatcher, hanno rifiutato per oltre quarant’anni non solo la moneta unica, ma anche l’unione politica e federale, le sovvenzioni economiche all’Unione e la difesa comune.

Dopo la Brexit si è aperta dunque una larga, inedita e imprescindibile finestra di possibilità per rilanciare l’Unione.

Il discorso di Macron alla Sorbona ha colto questa opportunità, anche attraverso lapronuncia di parole di speranza rivolte agli studenti che lo ascoltavano: «Non lascio nulla a tutti coloro che promettono l’odio e la divisione. Non dobbiamo cadere nella trappola dei populisti ponendoci solo domande semplici, “bianco o nero”. Vorrei vedere un ampio dibattito l’anno prossimo, in tutti i paesi che lo desiderano, per determinare le idee che nutrono il nostro progetto. La sovranità, l’unità e la democrazia sono inseparabili per l’Europa».

L’appello del presidente francese era stato accolto con soddisfazione da più parti. Il problema principale era però lo stallo politico della Germania scaturito dalle elezioni di fine settembre, che costringeva la cancelliera Angela Merkel a ricercare difficili convergenze per formare un nuovo governo. La svolta è stata la riedizione della Grande Coalizione Cdu-Spd. Il socialdemocratico Martin Schulz, per contrastare l’avanzata delle forze anti-Ue in Germania, ha fortemente voluto che il nuovo accordo mettesse al centro l’Europa, le possibilità di rilancio del progetto comunitario e il rafforzamento dell’asse franco-tedesca. La Merkel ha parlato di un grande progetto per l’Europa, che riguarda ciò che è necessario perché l’Europa abbia più fiducia in se stessa e porti fiducia e soddisfazione ai suoi cittadini».

Sullo stesso tema, Macron ha infine rilanciato la sua proposta durante il vertice di Davos di fine gennaio: «Non sono ingenuo, non costruiremo niente di sufficientemente ambizioso se siamo in 27. Dobbiamo cambiare la nostra metodologia, che non significa aspettare tutte le persone sedute intorno al tavolo prima di decidere. Questo vuol dire che se si è pronti per essere più ambiziosi, l’importante è progredire sia a livello di integrazione che di determinazione. Qualità che riguardano la capacità di governare  in quanto paese, in questo clima globale, che vuole difendere i propri valori e interessi. Diamoci da fare».

L’Italia, dal canto suo, ha prontamente sposato il progetto, per bocca del premier Paolo Gentiloni: «Il processo non può essere condizionato dal vagone più lento del nostro treno. Senza fughe in avanti, con apertura larghissima, Italia e Francia andranno avanti con la Germania e altri Paesi».

Com’è evidente, la strada tracciata da Macron è percorribile soprattutto perché nelle urne di Francia e Germania le destre euroscettiche sono state sconfitte. In entrambi i casi, anche se con modalità differenti, hanno prevalso coalizioni o raggruppamenti disomogenei accomunati dalla posizione europeista. Il partito di Macron, En Marche, è riuscito a prevalere sui vecchi partiti e su Marine Le Pen in virtù della propria trasversalità e della propria capacità di contenere tanto i socialdemocratici quanto i liberal-democratici. In Germania, come detto, l’accordo di governo è nato sulla base della contrapposizione europeisti-antieuropeisti. Ora la grande osservata speciale è l’Italia. Dopo le elezioni italiane si trarranno le somme della stagione elettorale che l’Europa ha vissuto negli ultimi due anni e ci si proietterà verso le elezioni europee del 2019. Per questi motivi è abbastanza evidente che le possibilità di successo del rilancio europeo, di riforma e rinnovamento, risiedano in larga misura, per il nostro paese, nell’esito delle elezioni del 4 marzo.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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